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I Meccanismi del Cambiamento in Psicodramma
di Giovanni Boria


Pensiamo allo psicodramma come ad una situazione di laboratorio in cui un direttore / conduttore / terapeuta / regista provoca degli accadimenti relazionali, delle interazioni contestualizzate, che consentono ai partecipanti di sperimentarsi nella globalita' del proprio "esserci", con conseguenze integrative delle istanze individuali e delle richieste ambientali.
I meccanismi generati dal complessivo coinvolgimento nel quale ogni partecipante al gruppo di psicodramma si trova costantemente immerso mette in gioco la persona globale, stimolando il mentale ed il corporeo alla loro naturale coniugazione, consente al mondo interno di attivarsi su versanti anche inusuali e di dare ai contenuti emergenti dei contorni riconoscibili e comunicabili attraverso le forme espressive adatte.
Il lavoro psicodrammatico stimola il cambiamento proprio grazie alla sua efficacia nel produrre espressivita' per quanto attiene il proprio mondo profondo e nascosto.
ESPRESSIVITA'
Lo psicodramma e' una palestra di espressivita' che porta gradualmente coloro che la frequentano a delle acquisizioni significative per il benessere interiore.
La ripetuta esperienza di cimentarsi nell'uso di un'ampia gamma di modalita' espressive induce le persone a dare una forma piu' chiara e compiuta a cio' che di se stesse vanno mostrando, riconoscendo parti di se'sinora rimaste nell'ombra e ricevendo, al contempo, il riscontro degli che colgono aspetti specifici del modo di essere altrui.
La persona che si esprime con liberta' in un contesto gruppale fa l'esperienza esistenzialmente vitalizzante dell'esserci.
Tale esperienza e' la risultante di un duplice meccanismo mentale: quello del guardarsi dentro per poi esternare quanto si percepisce di se' (funzione di doppio) e quello del rendersi conto di essere presenti negli altri con le caratteristiche che questi ci attribuiscono (funzione di specchio).
Il risultato "evolutivo" della costante messa in atto dei meccanismi espressivi e' una progressione verso comportamenti e modalita' relazionali sempre piu' variegate, creative e individuanti.
C'e' un particolare effetto dell'espressivita' nel lavoro psicodrammatico, connesso ad una caratteristica che accomuna psicodramma e teatro: entrambi sono "teatron", cioe' costituiscono una situazione dove si e' guardati quando si agisce in quanto attori e si guarda quando si e' spettatori.
Questa peculiarita' "teatrale" dello psicodramma, dove e' possibile essere alternativamente attori e spettatori, rende l'espressione di se' un fatto "pubblico" che vincola gli uni e gli altri per via di cio' che si trasmette (come attori/protagonisti) o di cio' che si recepisce (come membri del gruppo/uditorio).
L'espressione del proprio dolore attraverso un pianto disperato nella solitudine della propria stanza produce un vissuto molto diverso da quello determinato dallo stesso dolore mostrato sul palcoscenico.
Il fatto di sapere di essere stati guardati genera il vissuto di essere irreversibilmente usciti allo scoperto; il fatto di avere guardato da' la sensazione commovente che ci e' stato concesso di cogliere un'intimita'.
Lo psicodramma consente la non comune esperienza di accedere all'intimita' nostra e altrui come ad un terreno aperto e percorribile senza vergogna assieme a dei fidati compagni di viaggio.
ROTTURA DEL COPIONE
Le consegne del direttore hanno il compito di creare il contesto di gioco nel quale le persone sono chiamate ad agire.
Esse funzionano come vincolo di realta' che condiziona e definisce i modi e gli ambiti dell'azione di ciascuno.
Nello psicodramma la persona e' stimolata, si', ad esprimersi; ma sempre in un modo che si armonizzi col contesto.
La soggettivita' e' un valore, ma lo e' altrettanto il "dato" esterno al soggetto e indipendente da lui.
Esso viene espresso dalle regole del gioco, le quali richiedono che i bisogni e le risorse personali si accordino con la forma dell'attivita'.
L'azione arbitraria, che non tiene conto della sua collocazione ambientale, costituisce un acting-out dal significato ben diverso da quello dell'acting-in sempre perseguito dal lavoro psicodrammatico.
L'acting-in, infatti, comporta una continua ricerca di organizzazione del comportamento in forme inedite, mobili e flessibili; esso contrasta con la tendenza alla ripetitivita' ed alla conservazione di modalita' d'azione conosciute o prevedibili, giustificata dal bisogno di rassicurazione nei confronti dei fantasmi che si agitano nelle zone ignote del cambiamento.
Il direttore interviene abitualmente sulle persone a interrompere i "discorsi" che hanno gia' una compiutezza nella mente, ed a fare in modo che queste si muovano invece alla ricerca ed alla scoperta di cio' che per loro e' incompiuto, oscuro, vagamente percepito, non chiaramente pensato.
Questo e' il motivo per cui nello psicodramma il conduttore del gruppo si caratterizza di piu' come un regista o come un intervistatore che come uno che "colloquia".
Egli invita a "fare", piuttosto che a "raccontare".
Certo le persone hanno anche un loro spazio di racconto; ma di solito questo e' solo un modo espressivo iniziale.
Il direttore interviene molto spesso a interrompere (un suo modo tipico e' lo "Stop!") ponendo un'altra domanda che orienti la mente su qualcosa di "altro" che puo' essere portato alla coscienza, arricchendo o cambiando un pensiero gia' confezionato che potrebbe essere utilizzato come schema rassicurante ed anche come schermo per non andare al di la' del gia' noto.
La situazione psicodrammatica in cui si tocca con mano l'inevitabilita' della rottura del copione e la forza di una verita' nuova che si va mettendo in luce nell'interiorita' della persona e' quella creata dall'applicazione della tecnica dell'inversione di ruolo.
Essere calati nei panni di un altro, dopo un adeguato processo di riscaldamento alla spontaneita' ed alla mobilita' interiore, produce vissuti ed immagini che presentano aspetti di novita' e di compiutezza che spiazzano anche le strutture mentali piu' irrigidite.
Un percorso sufficientemente lungo in un gruppo che fa psicodramma consente di sperimentare la possibilita' di accesso a zone della propria interiorita' che rimanevano periferiche rispetto ai percorsi abituali indicati dalle mappe dei copioni individuali.
La persona si addentra nella scoperta di verita' nuove sentendosi rassicurata e protetta dalla presenza e dagli stimoli del gruppo in cui si sta sperimentando; e questo costituisce un apprendimento che potra' trovare graduale applicazione anche nella quotidianita' della vita.
INTRECCIO DI IO-ATTORE ED IO-OSSERVATORE
Pensiamo schematicamente allo psicodramma come a quella metodologia che, come prima istanza, mette in azione le persone in un contesto relazionale significativo, in modo che la loro energia esca da uno stato di latenza e diventi vissuto, esperienza; quindi, come istanza successiva, interviene la riflessione che "guarda" il vissuto, lo definisce e - grazie alla parola - gli da' una forma pensabile e comunicabile.
Possiamo esprimere lo stesso concetto usando il gergo psicodrammatico.
In questo caso l'affermazione equivalente direbbe che la prima istanza della metodologia psicodrammatica e' quella di mobilitare l'io-attore (che e' luogo di emozioni, sensazioni, contatto, memoria sia corporea che emotiva...), per poi fare si' che tale "performance" venga colta dall'io-osservatore (il quale ha il compito di riflettere su di essa, definirla, darle forma di pensiero verbale, memorizzarla, comunicarla ad altri...).
Un altro modo per esprimere questa illustrazione schematica dell'approccio psicodrammatico puo' essere quello di usare il piu' noto linguaggio della psicologia dinamica.
E allora diremmo che lo psicodramma come prima istanza mira stimolare la zona del preconscio per evidenziarne i contenuti attraverso la "messa in azione" della persona con tutte le sue funzioni psico-corporee (con un'attivazione prevalente di processi primari) e arricchendo lo stesso preconscio di materiale prima ignoto (e, quindi, celato nell'inconscio); la seconda istanza richiede l'intervento della riflessione (processi secondari) che, guardando al mondo interno, lo riconosce, lo definisce, lo verbalizza, trasformando in materiale chiaro e distinto appartenente alla coscienza cio' che prima era solo indistintamente avvertibile.
Una combinazione del linguaggio psicodrammatico con quello della psicologia dinamica ci consente di mettere insieme altre frasi che precisano ulteriormente la collocazione centrale - all'interno della metodologia di cui stiamo trattando - dei due elementi denominati io-attore ed io-osservatore.
Possiamo, ad esempio, dire ancora che l'io-attore, attraverso l'azione che si va consumando, rende afferrabile il mondo inconoscibile del latente, e che l'io-osservatore coglie e definisce con la parola i contenuti emozionali appena emersi con l'azione.
Oppure, proseguendo con questa combinazione di frasi, possiamo pensare all'io-osservatore come ad un "faro", il faro della coscienza, che si orienta sul preconscio e coglie quelle piccole scintille (scaturenti dall'inconscio) che nel preconscio si accendono grazie all'io-attore.
L'io-osservatore coglie queste scintille e da' loro dei nomi, le "significa" e le rende accessibili alla coscienza.
L'io-osservatore permette, quindi, il passaggio dal "sogno" al "pensiero" utilizzando il preconscio come ponte di collegamento fra inconscio e coscienza.
Il direttore coinvolge le persone nelle attivita' psicodrammatiche in modo da ottimizzare il funzionamento dell'io-attore e quello dell'io-osservatore, e da consentire un loro reciproco influenzamento che risulti in grado di produrre ruoli adeguati ai bisogni ed alle risorse della persona ed alle richieste del contesto.
RISTRUTTURAZIONE DEL TEATRO INTERNO INDIVIDUALE
Il teatro interno individuale contiene i personaggi che ciascuno di noi e' andato interiorizzando nel corso della sua vita.
Essi costituiscono gli "altri significativi" che popolano la nostra mente ed hanno la funzione di attirare su di se' le nostre cariche emotive e di qualificarsi conseguentemente come oggetti amabili od esecrabili, come riferimenti che stimolano e vitalizzano, oppure che inibiscono e mortificano.
La presenza di un buon numero di personaggi nel nostro mondo interno ci consente di distribuire, dare forma, organizzare le nostre emozioni e di sentirci soddisfatti - oppure no - di come ci vediamo collocati nella nostra esistenza.
La composizione di un teatro interno che consenta una distribuzione dei sentimenti che sia funzionale al benessere della persona potrebbe essere immaginata come un insieme sufficientemente numeroso e variegato di presenze ben definite che si prestino ad accogliere su di se' sentimenti chiari e distinti, magari conflittuali ma non confusi od ambigui.
E' questa una situazione desiderabile che difficilmente si presenta come attuale in chi inizia un percorso psicodrammatico e che di solito e' posta come meta del percorso stesso.
Dott. GIOVANNI BORIA
Psicologo clinico, psicoterapeuta, psicodrammatista, ha compiuto la sua formazione allo psicodramma all'Istituto Moreno di Beacon (New York) con la guida di Zerka Moreno.
E' socio fondatore ed e' stato presidente della FEPTO (Federation of European Psychodrama Training Organizations) con sede a Lovanio.
Direttore dello Studio di Psicodramma.