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TeatroTerapia: La funzione terapeutica del teatro
di Marika Massara
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Gli aspetti terapeutici del teatro sono stati dimostrati lungo la storia.
Il concetto di catarsi fu introdotto da Aristotele per esprimere il peculiare effetto che il dramma greco aveva sui suoi spettatori.
Il termine catarsi deriva dal greco kátharsis, deriva da katháirein, "purificare": la liberazione dell'individuo da una contaminazione che danneggia o corrompe la natura dell'uomo.
Egli afferma: "Tragedia dunque e' mimesi di un'azione seria e compiuta in se stessa, con una certa estensione; in un linguaggio abbellito di varie specie di abbellimenti, ma ciascuno, a suo luogo, nelle parti diverse; in forma drammatica e non narrativa; la quale, mediante una serie di casi che suscitano pieta' e terrore, ha per effetto quello di sollevare e purificare l'animo da siffatte passioni".
Nella sua poetica egli sostiene che lo scopo del dramma e' di purificare gli spettatori attraverso l'eccitazione artistica di alcune emozioni che funzionavano come un tipo di sollievo dalle loro passioni personali.
L'evento scenico "traumatico" e' la messa in atto di un conflitto e delle sue conseguenze fino all'estrema lacerazione.
Assistervi consentirebbe tanto un coinvolgimento quanto una presa di distanza che renderebbero possibile un'osservazione piu' consapevole.
Un precorritore importante della teatroterapia e' il marchese De Sade (1740-1814) il quale, rinchiuso nel manicomio di Charenton allestiva lavori teatrali, alcuni scritti da lui stesso, nei quali recitavano i pazienti.
Anche nell'Ospedale di Aversa, nello stesso periodo, l'abate Giovanni Maria Linguiti all'interno della sua "cura morale" da' grande rilievo alle rappresentazioni teatrali.
Secondo lui il recitare un personaggio la cui "passione" o "idea fissa" sia opposta a quella che affligge il malato consente a quest'ultimo di liberarsi dalla sua "idea fissa" originaria e quindi diventa un vero e proprio strumento terapeutico.
Il vero incontro tra teatro e psicologia e' avvenuto intorno agli anni '60 favorito da alcune nuove risonanze: la nascita dei laboratori teatrali e un nuovo training dell'attore; l'antropologia teatrale; un rinnovato modo di lavorare nel setting psicoterapeutico e la nascita di nuove teorie psicologiche e psicoterapeutiche.
Il teatro di ricerca, basandosi sulle riflessioni dei maggiori maestri del novecento, propone una visione antropologica della pratica artistica (Grotowski, Brook, Barba).
A partire dalle avanguardie storiche che avevano provocato un rinnovamento radicale del teatro (nella drammaturgia, nella scena, nella recitazione, nella preparazione dell'attore, nel ruolo sociale del teatro) si e' delineato nella seconda parte del secolo uno spostamento dell'interesse non piu' focalizzato sul prodotto, ma sul processo.
Il "laboratorio", in cui attori e regista lavorano insieme sul training e sulla preparazione dello spettacolo si propone come setting di ricerca e di sperimentazione.
Jerzy Grotowski nel 1959 ha dato vita al Teatro Laboratorio che in seguito ha ricevuto lo status di "Istituto di ricerche sulla recitazione".
Egli propone la poverta' in teatro, lo sfrondamento di tutti gli elementi parassitari per arrivare a svelare le ricchezze inesplorate di questa forma artistica.
"Il teatro, grazie alla tecnica dell'attore, quest'arte in cui un organismo vivo lotta per motivi superiori, presenta una occasione di quel che potremmo definire integrazione, il rifiuto delle maschere, il palesamento della vera essenza: una totalita' di reazioni fisico-mentali.
Questa possibilita' deve essere utilizzata in maniera disciplinata, con una piena consapevolezza delle responsabilita' che essa implica.
E' in questo che possiamo scorgere la funzione terapeutica del teatro per l'umanita' nella civilta' attuale" (Grotowski,1968).
Nello stesso periodo della pubblicazione del libro di Grotowski "Per un teatro povero", fu pubblicata anche un'altra opera fondamentale per la cultura teatrale contemporanea: "The Empty Space" di Peter Brook che contribuisce a proporre una idea di teatro viva e realmente necessaria per l'uomo d'oggi.
Per lui l'atto teatrale e' un lasciare andare, un rinnovarsi, un purificarsi sia per l'attore, sia per il pubblico.
E' una esperienza liberatoria "... la risata e le emozioni intense liberano l'organismo di parte delle scorie..." (Brook,1968).
In questi nuovi setting si cerca di ricostruire l'unita' dell'esperienza attraverso una nuova estetica e nuove metodologie capaci di integrare il soggettivo e l'oggettivo, mente e corpo, reale e immaginario, disciplina e spontaneita', arte e vita, individualita' e collettivita', tradizione e ricerca del nuovo.
Il setting del laboratorio teatrale si propone come spazio-tempo separato dalla quotidianita'.
In tale situazione si ha una sospensione della vita quotidiana a favore di una esplorazione-costruzione di modalita' diverse non solo di pensare, percepire, muoversi, ma anche di interagire; le normali regole che orientano le interazioni sociali e comunicative vengono messe in discussione, o comunque sono ridefinite.
Questa esperienza investe non solo gli schemi di relazione interpersonale, ma anche il linguaggio, la mente e il corpo.
Un altro fenomeno fondamentale di questo periodo e' lo spostamento del centro nevralgico della produzione teatrale dagli organismi stabili alle realta' piu' disparate dell'aggregazione sociale.
La rifondazione del teatro deve passare al di fuori della cultura teatrale per perdere la memoria e cercare qualcosa di nuovo e nascosto non influenzato dai cliche' accademici.
Per Grotowski il rinnovamento nasce da gente esterna al teatro, da dilettanti che vivono ai margini del teatro professionista, dal teatro povero.
L'esortazione e' per un teatro che non si limiti a rispecchiare la societa', ma concorra a cambiarla, un teatro che si trasformi in azione, lavorando in un tempo e uno spazio diversi da quelli tradizionali dell'edificio teatrale.
Si auspica un teatro che esca dal teatro per entrare nel mondo con una missione trasformativa.
Una parte del teatro si muove verso le situazioni di margine, i luoghi del disagio, nel senso piu' ampio del termine, approdando nei manicomi, nelle carceri, nelle case di cura e negli ospizi, nelle comunita' per tossicodipendenti e nelle comunita' di accoglienza, nei centri per disabili e nei centri di aggregazione giovanile, fino alla strada.
Il vero precursore di questo processo e' stato Jacob Levi Moreno, l'ideatore dello Psicodramma, psicoterapeuta eccentrico ed eclettico che gia' dal 1908 si era dedicato ad alcune esperienze di tipo sociale inaugurando di fatto il primo laboratorio teatrale di intervento nelle situazioni di margine.
Egli si cimento' nella conduzione di un gruppo teatrale presso un parco della periferia di Vienna con alcuni ragazzini "difficili".
Questi si trasformarono presto in una compagnia dilettantesca in grado di mettere in scena storie di vita quotidiana.
Moreno lavoro' anche con un gruppo di prostitute di un ghetto viennese, rendendosi conto di come il gruppo funzionava da agente terapeutico.
Lo Psicodramma di J.L. Moreno, e' una forma di psicoterapia di gruppo nella quale ciascun paziente "rappresenta" se stesso, dando forma drammatica (teatrale) alle proprie vicende interiori, passate o presenti, in una restituzione del senso della unitarieta' della propria esperienza e della totalita' della psiche, derivante dalla oggettivazione della propria dinamica psichica e dallo scambio relazionale instaurato nel gruppo.
Nell'esperienza collettiva si realizza una catarsi delle tensioni, dei blocchi, del disagio profondo, come avveniva nelle rappresentazioni misteriche dell'antica Grecia.
Moreno ha utilizzato la spontaneita' come strumento di cambiamento personale e sociale, intuendo le grandi possibilita' terapeutiche della recitazione libera.
In campo psicologico, nasce anche un filone di studi nel quale l'attenzione si sposta sui vissuti qui-ed-ora e sulla dimensione consapevole dell'esperienza.
La consapevolezza puo' essere raggiunta attraverso l'auto-osservazione, che presuppone una certa distanza, una non identificazione con i contenuti mentali.
La stessa non identificazione la ritroviamo in campo teatrale con Brecht che in contrasto alle tesi di Stanislavskij ribadisce la necessita' di una distanza critica dell'attore nei confronti del personaggio e del testo.
La distanza implica la distinzione tra l'azione e il riflettere sull'azione stessa, la separazione tra il ruolo e l'attore.
Eppure la distanza si presenta in maniera paradossale, infatti l'operazione realizzata dal teatro consiste nell'ottenere il massimo dell'identificazione con il massimo della differenziazione, la partecipazione massima con un minimo di credenza.
Tutto questo viene prodotto dal teatro con mezzi molteplici, alcuni dei quali sono legati alle strutture formali del dispositivo rappresentativo, altri sono generati dalla maestria dell'attore.
Aristotele nella poetica dice che il fine della tragedia e' la catarsi e che gli spettatori, identificandosi negli attori che recitano vicende terribili, si purificano da quei sentimenti che anche loro provano ed al termine dello spettacolo possono ritornare alle loro occupazioni di tranquilli cittadini.
Ma ci dice Bertold Brecht, in questo caso il teatro mantiene l'ordine costituito: non serve per pensare, non ha nessuna funzione pedagogica.
Per ottenere questo scopo bisogna stimolare non l'identificazione, ma lo straniamento perche' solo in questo modo lo spettatore e' indotto a pensare alle vicende rappresentate ed a prendere coscienza della sua situazione.
Nel teatro epico "la distanza estetica" tra platea/palcoscenico, la tendenza eternamente presente nel teatro a generare un atteggiamento di contemplazione nello spettatore, dovrebbe risolversi nella sensazione e consapevolezza da parte dello spettatore del fatto che l'operatore teatrale e' impegnato come lui e con lui nel tentativo di comprensione e soluzione di problemi di comune interesse e che insieme fanno parte di un comune processo di crescita di coscienza.
Brook confronta la funzione dello straniamento di Brecht, all'happening.
Un happening e' un evento che puo' avere luogo ovunque, ma dietro il quale c'e' un grido "Svegliati!".
Per Brook, l'effetto dell'happening e quello dello straniamento sono simili e opposti: "lo shock dell'happening serve a infrangere tutte le barriere erette dalla nostra ragione; lo shock prodotto dallo straniamento attiva la parte migliore della nostra ragione" (Brook, 1968, pag. 82).
In un certo senso, secondo Brook, questi due mezzi producono nello spettatore momenti di responsabilita', momenti in cui il pubblico e' più attento, piu' desto, piu' aperto e meno passivo.
Piu' recentemente Landy riprende il concetto di distanza per sottolineare la distinzione tra il ruolo e l'attore.
Landy e' uno dei piu' importanti teorici di un nuovo approccio chiamato Drammaterapia.
Egli utilizza tecniche proiettive per amplificare il vissuto di distanza.
Gli attori non diventano i personaggi che stanno interpretando, ma avvicinano se stessi e le loro esperienze alla performance, si muovono attraverso un tempo reale ed un tempo immaginario, da una realta' ordinaria a una realta' teatrale.
La nozione di ruolo, le tecniche di role-playing e assunzione di ruoli sono al centro di questo orientamento.
Dramma, dal greco "Dran", significa letteralmente "compiere un'azione", ma l'atto drammatico non e' semplicemente fare qualcosa, e' necessario che l'azione sia compiuta con un certo grado di distanza.
Le prime formulazioni di Drammaterapia risalgono ai primi anni '60.
Potenziare la creativita' e le abilita' espressive del cliente, usare le strutture del teatro, focalizzare l'attenzione sull'espressione simbolica delle emozioni e della comunicazione non verbale, sono obiettivi che distinguono l'approccio della drammaterapia dall'approccio psicoterapeutico ortodosso.
Nel 1979 la British Association for Dramatherapists ha proposto la seguente definizione: "La drammaterapia aiuta a comprendere e alleviare i problemi sociali e psicologici, inclusi le malattie mentali e l'handicap; facilita l'espressione simbolica attraverso la quale l'individuo (sia da solo che in gruppo) entra in contatto con se stesso, per mezzo di attivita' creative strutturate che coinvolgono la comunicazione verbale e fisica".
La drammaterapia quindi puo' essere considerata un approccio interdisciplinare, caratterizzato da diversi influssi, scaturito dalle tendenze anticonformiste degli anni 60-70, che mettevano sotto accusa la psichiatria ed il trattamento della sofferenza psichica, a favore delle "arti terapie".
Il modello terapeutico di Landy e' il modello del ruolo il quale vede l'individuo come colui che rappresenta numerosi ruoli, biologici, familiari e sociali nella vita reale.
Questi ruoli vengono riproposti nella seduta della drammaterapia.
Secondo Landy nel lavoro teatrale l'attore entra ed esce costantemente dal ruolo, c'e' un continuo slittamento da una realta' all'altra ed e' nello spazio intermedio che possono emergere le potenzialita'.
Landy ha teorizzato una tassonomia dei ruoli in un modello sistematizzato di ruoli ripetuti nei testi teatrali in una prospettiva junghiana archetipica.
I ruoli diventano utili strumenti nella diagnosi, nel trattamento e nella valutazione.
In questo modello gli obiettivi del drammaterapeuta sono tesi ad aiutare i clienti ad incrementare il numero dei ruoli che essi possiedono, per non rimanere legati ad un ruolo rigido, e ad incrementare la capacita' di muoversi da un ruolo all'altro.
Il personaggio puo' essere considerato un ponte che permette il passaggio dalla cristallizzazione di una personalita' al mondo della possibilita' e della scoperta.
Una dimensione importante, in Drammaterapia, e' quella del coinvolgimento organismico rispetto al ruolo: ossia il grado di intensita' o distanza nel giocare un ruolo.
L'individuo iperdistante, a livello intrapsichico e relazionale, e' rigido e controllato e ha bisogno di instaurare confini forti tra se' e gli altri.
Landy (1999), altresi', parla di ipodistanziamento, nel caso in cui la persona non possiede confini definiti tra se' e il personaggio e si identifica con esso.
La distanza estetica, per Landy, e' un equilibrio tra affetto e cognizione si potrebbe dire come due polarita' dialettiche, "ad una distanza estetica, l'individuo ricopre il ruolo dell'osservatore cognitivo e distante e il ruolo dell'attore affettivo, emozionalmente coinvolto" (Landy, 1999, pag.140).
In questa situazione ci sono confini chiari tra una persona ed un'altra, tra un ruolo e l'altro, ma sono sempre flessibili e modificabili nei cambiamenti che possono avvenire nella persona o nell'interazione.
Per concludere e orizzontarci all'interno di questo panorama vario e diversificato possiamo riprendere la distinzione fatta da Cavallo (2001) tra "teatro terapeutico"; "terapia a mediazione teatrale"; "drammaterapia".
Per "teatro terapeutico" chiamato anche teatro delle diversita' o drammaturgia sociale si intende la presenza del teatro nei luoghi del disagio, dove l'obiettivo primario e' lo spettacolo e l'intervento sulle persone non e' del tutto consapevole.
Per "terapia a mediazione teatrale" si intende l'uso consapevole e strumentale di alcuni mezzi e tecniche del teatro per favorire un cambiamento in un contesto di lavoro specificatamente terapeutico (ad esempio l'utilizzo della drammatizzazione nella Gestalt-therapy).
Per "drammaterapia" si intende il fondare sull'atto creativo una metodologia clinica rivolta al cambiamento dove al centro c'e' la performance intesa come "agire, essere in atto" e come luogo dove ricostruire e rimodellare la propria esperienza.
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