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Il lavoro psicocorporeo e le memorie preverbali
di Riccardo Musacchi


Dott. Riccardo Musacchi
Psicologo, psicoterapeuta, direttore dell'Istituto di Fototerapia Psicocorporea.

Il lavoro psicocorporeo e le memorie preverbali

L'emozione sorge laddove corpo e mente si incontrano.
Eckhart Tolle

Il mondo interno prima della parola
Questo articolo tratta di come si può intervenire nella pratica dal punto di vista della psicoterapia corporea sui ricordi risalenti alla parte preverbale della vita, ed è indispensabile per comprendere al meglio questa parte del lavoro per avere una maggiore ampiezza dello sguardo sulla persona.

La visione qui analizzata è la Biosistemica, un metodo integrativo che nel dialogo tra paziente e terapeuta pone una particolare attenzione al corpo e utilizza anche tecniche fisiche per modificare il ritmo del respiro e i modelli dell'organizzazione muscolare e dello schema corporeo. Le connessioni tra i disturbi del respiro e i "nodi" dell'emotività sono state evidenziate da sempre: nella pratica, infatti, se ci sono interruzioni nel contatto emotivo c'è anche un disturbo nella respirazione, che si manifesta sotto forma di ansietà. Per contatto emotivo si intende la capacità di stare in relazione con sé stessi e con gli altri, di guardarli negli occhi, di comprendere le domande e rispondere in modo congruo, di sentire cosa sente l'altro senza perdere se stessi, di stare nel presente e viverlo senza entrare in mondi interni fatti di paure e ansie anticipatorie. Il buon contatto è una buona capacità di connessione con sé e gli altri.

Alcune domande centrali utilizzate nella Biosistemica sono appunto:
  • Questa persona è in contatto?
  • Com'è la sua respirazione? Superficiale, impercettibile, bloccata, a scatti?
  • Com'è il corpo del paziente e che messaggio trasmette?
  • Come sono i suoi movimenti?
  • In che relazione sono i movimenti con il respiro e con le emozioni?
L'obiettivo da perseguire è la consapevolezza e si lavora in modo tale che il paziente possa osservarsi nelle sue diverse manifestazioni per poi avere più possibilità di scelta e non solo automatismi.

Dal punto di vista della Biosistemica sono cinque i livelli di consapevolezza qui elencati.
  1. Livello verbale-cognitivo, che si riferisce all'attività del pensiero e al modo in cui questo può essere tradotto in parole.
  2. Livello immaginativo, che comprende principalmente immagini visive. Per esempio, il paziente chiude gli occhi e ha l'immagine del mare o della casa di quando era bambina/o. Possono esserci anche "immagini" complesse, talvolta elementi olfattivi o acustici, ma emergono più raramente.
  3. Livello emotivo, che è quello degli affetti: rabbia, tristezza, paura, dolore, gioia.
  4. Livello sensitivo, che è quello delle sensazioni fisiche: caldo, freddo, formicolii, tensione, dolore, rilassamento.
  5. Livello motorio, che si riferisce alla conscia percezione del movimento, sia volontario sia involontario. Anche la percezione statica del proprio corpo quando questo non si muove rientra in questo livello di consapevolezza.
Di questi cinque livelli è importante sottolineare l'importanza nel lavoro con il corpo del livello visivo/immaginativo. L'immagine-chiave è molto chiara e illuminante, spesso molto più di tante parole, come sempre quando si tratta di immagini. Si affianca ad altre tecniche della Biosistemica, quali la parola-chiave, il gesto-chiave e il momento-chiave, che rimando ad altre trattazioni per una spiegazione più esauriente. Una delle tecniche fondamentali della Biosistemica consiste nell'utilizzo della parola-chiave, che se ripetuta e rispecchiata apre le porte di comunicazioni profonde. Una parola chiave viene estrapolata dal terapeuta ascoltando la narrazione del cliente, per esempio ascoltando la frase "quando lei mi ha lasciato per me è stato come cadere in un pozzo nero" si può riconoscere la parola-chiave "pozzo nero" dal modo profondo in cui viene pronunciata. Se ripetuta dal terapeuta, la parola-chiave consente al paziente di sentire nell'altro l'eco della sua parola viscerale, può sperimentare la preziosa sensazione di "sentirsi compreso" e con frasi direzionali di approfondimento come: Com'è questo pozzo? Che colore è? Ha un suono? Il paziente può entrare maggiormente nell'approfondimento non solo verbale/razionale della questione che porta in terapia. L'immagine-chiave è un altro concetto della Biosistemica, che aggiunge ulteriore ricchezza ai modi per indagare il mondo interno delle persone. Se notiamo, c'è spesso un'immagine, una metafora nel nostro modo di esprimerci. Ne usiamo molte. A volte sono comuni e sentite da altri o creative. Una immagine che mi ha fatto sorridere sentita da una paziente che si riferiva a suo padre è "pesante come una mucca in braccio". In questo caso l'iperbole rende molto bene il concetto tramite immagine. Un'altra per esempio è quella di una persona che riferisce di essersi sentita usata come sgabello da parte di un'altra. È un'immagine, ovviamente, ma rende bene il concetto di sentirsi sfruttati a vantaggio esclusivo di qualcun altro. In quest'ultimo caso si può utilizzare l'immagine e chiedere al cliente come si sente a vedere questa immagine di sé. Fare partire da questo punto l'esplorazione psicoterapica. Lavorando con il corpo si può anche mettere in scena psicodrammaticamente questa sensazione, per esempio mettendo a terra un cuscino, salendoci sopra e chiedendo al paziente cosa prova nel vedere la scena. Quest'ultimo intervento indaga il mondo interno del paziente, esponendolo a un'immagine reale che ha preso vita a partire da un'immagine-chiave del suo mondo interno.

Tecniche di esplorazione
Il punto d'inizio del lavoro psicocorporeo può essere sia l'approccio verbale che quello corporeo e/o entrambi. Si può infatti cominciare lavorando sul respiro, con il paziente in piedi o meglio disteso, in alcuni modi: aiutando l'espirazione, aumentando l'inspirazione o entrambe le cose, sciogliendo le tensioni diaframmatiche e lavorando sulla muscolatura: agendo con le mani in modalità specifiche si modificano le tensioni muscolari, in modo che la funzione respiratoria diventi più fluida. Queste esplorazioni partono da una narrazione, da un problema che il paziente ci porta e per il quale ci chiede aiuto, da cui estrapoliamo parole, immagini, sensazioni. Si può anche intervenire facendo focalizzare la persona sulle sensazioni corporee senza toccare, soprattutto per pazienti che non gradiscono il contatto fisico. Nella psicoterapia corporea valgono due importanti raccomandazioni: non abbiamo bisogno di fare lavoro corporeo se le parole da sole sono sufficienti e non dobbiamo farlo solo perché ci piace questa tecnica. In ogni caso le parole, se ben utilizzate riescono a "toccare" il paziente in modi molto profondi, senza nemmeno sfiorarlo.
Quando si lavora con il respiro (amplificandolo) questo stimola un processo corporeo che passa attraverso quattro fasi, come ben descritto da George Downing, illustrate qui di seguito:
  • Fase di incubazione: ha una durata di 5-15 minuti, durante i quali si presentano diverse piccole sensazioni come pruriti, punti di calore e piccoli movimenti.
  • Fase del tremito, della durata di 2-10 minuti: normalmente comincia dalle gambe, dagli occhi o dalla mascella e poi si diffonde a tutto il corpo.
  • Fase delle emozioni: è la più importante. Alle volte le emozioni sono molto potenti ed è questo il momento principale del lavoro: le cose che emergono in questa fase possono riguardare sia l'infanzia del paziente sia il suo vissuto attuale.
  • Fase dei movimenti più ampi: avviene quando il processo corporeo procede al meglio.
Nella pratica psicocorporea quando emerge un'emozione questa si riferisce sempre a un ulteriore contesto differente da quello riportato, ed è proprio questo che bisogna scoprire. Spesso è un antico scenario o un momento di vita doloroso non ancora elaborato del tutto. Non sempre è chiaro e spesso non lo conosce neppure il paziente. Per scoprire la situazione che fa da cornice all'emozione si lavora basilarmente con la consapevolezza del qui e ora, ponendo le domande iniziali: Com'è il tuo respiro? Che cosa provi in questo momento? Ora cosa accade? Quando il paziente riferisce per esempio che è arrabbiato, si può suggerire la frase Sono arrabbiato con... e chiedergli di aggiungere qualcosa. Per aiutare il paziente a divenire più consapevole della propria esperienza si possono usare alcune tecniche che George Downing chiama passi di transizione. Sono quattro:
  • parole;
  • immagini;
  • suoni;
  • gesti o movimenti.
Quando per esempio emerge la tristezza, si può dire al paziente di rimanere in contatto con questa emozione e di lasciarsi venire in mente parole o immagini in libera associazione, restando sempre in un flusso di respiro costante. Potrebbero affiorare frasi tipo Mi manca tanto, oppure Mi sento solo, o qualunque altra cosa. Il passo successivo consiste nell'esplorare ciò che queste parole significano per il paziente. Le parole possono essere un ponte per avvicinarsi di più al suo tema, ma se non arrivano si può chiedere al paziente di rimanere in contatto con la sua tristezza e di lasciarsi venire in mente delle immagini. Per esempio, può venirgli in mente la sua casa o delle persone. In questo caso l'esplorazione procede con domande del tipo Rimani nella casa e vedi cosa sta succedendo. Com'è essere lì? Si raccolgono tutti i possibili segnali e si amplificano. Se questi primi due passi non "funzionano", si può chiedere al paziente di fare un gesto e da questo si può produrre altre associazioni. Un altro aiuto può venire dall'emissione di un suono: si può dire al paziente Stai con la tristezza ed emetti un suono che esprime questa emozione. Quel suono può aiutare a chiarire la natura e la qualità dell'emozione che rappresenta.

Una volta attivato il processo corporeo con l'apertura del respiro si può chiedere al paziente di parlare con le persone evocate come se fossero presenti, identificarsi in loro, si possono utilizzare le frasi suggerite dal paziente stesso.

Un principio generale è quello di cercare di lavorare con il passato del paziente, in particolar modo con la regressione, cercando di raggiungere il periodo preedipico (da zero a tre anni). Il lavoro con il corpo ha la capacità di aiutare a raggiungere ricordi di questa epoca, anche vaghi e simbolici. Quando durante la regressione il paziente ritorna al suo passato, avviene un'ampia gamma di manifestazioni ed è molto importante riuscire a discriminare ciò che accade. È altresì necessario poi riportare il paziente nella realtà, nel qui ed ora con noi in seduta e essere certi che potrà sentirsi in grado di condurre l'auto e tornare a casa più integrato a fine sessione. La regressione è importante ma è sempre necessario avere chiaro che ora il paziente è qui con noi al sicuro e sta guardando uno scenario doloroso ma comunque già superato, poiché ciò che ci fa male in fondo sono ricordi. Doloroso, ma sono "solo" ricordi.

Le fasi di Mahler
Lavorando con la regressione si possono usare come mappa le linee della classificazione d'interazione preedipica di M. Mahler, che sono le sei spiegate di seguito.

Fase autistica, che va da 0 a 2 mesi. Mahler l'aveva denominata così perché pensava che il bambino di questa età non fosse in grado di discriminare sé dall'oggetto, cosa che poi è stata smentita in epoca successiva dalla ricerca clinica di Daniel Stern che ha evidenziato come il bambino riconosca benissimo la madre dalle altre donne. In questa fase il bambino è molto passivo ed è la madre che deve dare la connessione. È molto importante il modo in cui la madre tiene il bambino (concetto di "holding" di D. Winnicott), come pure il modo in cui la madre è sintonizzata col bambino.

Fase simbiotica, dai 2 ai 6 mesi. Dall'osservazione clinica risulta che il bambino in questo periodo (dai 2 ai 6-8 mesi) ha una vivace comunicazione con la madre, un tipo d'interazione chiamata "a ping-pong", che coinvolge l'espressione facciale, la voce, il contatto, ecc., ed è ritmica (o perlomeno è desiderabile che lo sia).

Fase di differenziazione, dai 6 ai 9 mesi. Alcuni mesi dopo la fase simbiotica c'è un periodo in cui c'è molto contatto fisico. Il bambino ogni tanto fa uso della distanza e può essere molto attivo. Si tratta di un periodo in cui sono presenti molti movimenti del corpo.

Fase della sperimentazione, dai 9 ai 12 mesi. Il bambino ha diversi interessi: tocca tutto e nel suo corpo c'è molto desiderio di movimento, gattona e poi all'improvviso succede qualcosa di molto importante e cioè si alza in piedi. Questo è un punto di svolta. Il bambino comincia a camminare. In questo stadio il bambino cerca di separarsi dalla madre, di differenziarsi. Sta sperimentando un nuovo tipo di autonomia, un potere del corpo ed è eccitatissimo.

Riavvicinamento, dai 12 ai 18 mesi. Nella fase della sperimentazione il bambino è come se avesse una storia d'amore con il mondo, in seguito però diviene consapevole di sé come individuo a sé stante. Può andare lontano dalla madre, ma poi è come se si rendesse conto di essere troppo piccolo e manifesta un comportamento regressivo per cercare rassicurazione, poiché per lui è importante che la madre sia nei paraggi per poi riscappare via. Questo è un periodo particolarmente difficile per le madri, che nella fase della differenziazione avevano dovuto fare in modo che il bambino si separasse dalla simbiosi (e questo provoca nella maggior parte dei casi dei sentimenti di perdita) e ora, con il riavvicinamento, devono tornare indietro alla simbiosi. Possono svilupparsi due tipi di situazioni:
  • Il bambino si riavvicina dopo la sua esplorazione, è spaventato e piange: se la madre lo sgrida dicendogli che non deve piangere, che "non deve fare il bambino piccolo" e che ormai è grande, trasmette al bambino rigidità e insicurezza.
  • Il bambino, dopo la sua esplorazione torna piangente cercando sostegno, la madre lo accoglie e lo scoraggia dall'allontanarsi ulteriormente, come se cercasse di trattenerlo nella simbiosi.
Entrambe queste situazioni danno luogo a problemi nell'adulto.

Scoperta di prospettive alternative, dai 18 mesi ai 3 anni. Di questa fase ha parlato molto Daniel Stern. Arriva il linguaggio e il bambino si dà da fare a costruire nuove connessioni con la madre. Diminuiscono le connessioni fisiche. Il bambino impara che c'è tutto un mondo esterno a lui ed è proprio in questo periodo che inizia a comprendere che la sua immagine è riflessa dallo specchio e che quindi altre persone possono vederlo dall'esterno e giudicarlo. Arriva una nuova emozione: la vergogna. Questo accade quando ha circa due anni.

Quando il paziente regredisce può trovarsi in una qualunque di queste fasi. Nella manifestazione corporea abbiamo diversi segnali che possono indicarci ciò che sta accadendo.
Quando il lavoro sul corpo ha portato a una regressione alla fase autistica, abbiamo a che fare con una manifestazione del paziente molto passiva e da questo possiamo comprendere che egli sta rivivendo questo tipo di esperienza. La cosa appropriata in questo caso è creare una connessione di sostegno senza richiedergli nulla: si può tenere la mano e stare semplicemente così.
Un'altra cosa che si può fare è parlargli con un appropriato tono di voce, che gli faccia sentire di aver capito il suo desiderio di "esistere" e basta. E che qualcuno sia testimone felice di ciò. La voce in questi casi può essere come una mano.

Quando un paziente manifesta una regressione alla fase simbiotica, è bene entrare in questo tipo d'interazione. Se non si desidera rendere concreto questo, si deve comunque dare valore al desiderio di contatto emotivo. Sarebbe un errore fermare questo tipo d'interazione.

Nel lavoro col il corpo, quando il paziente sta sperimentando il rivivere il periodo della sua infanzia che corrisponde alla fase della differenziazione chiede distanza, vuole fare le cose da solo e non vuole che il terapeuta lo aiuti, vuole appunto "sperimentare". I segnali possono essere diversi: per esempio, può muovere le mani o il corpo in maniera casuale, come se stesse esplorando le sue possibilità. Non vuole che il terapeuta se ne vada, ma vuole distanza, uno spazio personale. Il comportamento adeguato in questo caso consiste nello stare abbastanza distanti, dando comunque il messaggio di esserci: non bisogna intervenire eccessivamente né ovviamente dare messaggi svalutativi o punitivi.

Quando il paziente sperimenta una regressione alla fase del riavvicinamento, bisogna dargli il giusto sostegno e aiutarlo a comprendere ciò che è successo in quel periodo.
Nel lavoro con il corpo il paziente può rivivere la sensazione di vergogna del bambino di due anni. In questo caso è importante cercare di definire sufficientemente nel dettaglio ciò che è successo in quel periodo. Bisogna lasciare che il paziente provi questo sentimento e aiutarlo nella sua esplorazione.

Lavorando con il corpo è molto normale che si manifestino gli stati regressivi, a mano a mano che si procede nella terapia. Quando accade è importante fare una valutazione delle possibilità del paziente. È il caso di far addentrare di più il paziente in questo stato? Se, per esempio, si tratta di un paziente con tratti o caratteristiche borderline gravi o simil psicotiche è meglio non farlo procedere e limitarsi a qualcosa di più gestibile. Se invece si pensa che il paziente possa tollerare sentimenti più forti, lo si incoraggia a rimanere con questi sentimenti e lo si aiuta a entrare in alcuni vissuti del corpo, procedendo in uno dei seguenti modi:
  • lo si aiuta a esplorare che cosa accade nel corpo, a comprendere quale impulso motorio è presente;
  • lo si aiuta a definire cosa c'è all'esterno, il contesto che fa da cornice alla regressione.
Si deve trovare il desiderio (o la minaccia) che compete a ogni stato regressivo. Gli stati regressivi possono essere sia positivi sia negativi. Si può desiderare anche protezione da una minaccia: in questo caso è importante dare un sostegno di base per la sua sicurezza ed è necessario valutarne il modo (più o meno vicino, in silenzio o parlando).
Per questo motivo nella gestione delle regressioni è importante fare sempre una valutazione dello stato psicologico del paziente (è solido o fragile?), prima di approfondire il lavoro con il corpo. è necessario adottare il concetto di impalcatura, una impalcatura esterna con dentro i lavori in corso, fornisce sostegno dall'esterno mentre l'interno subisce delle modifiche.
Il nostro obiettivo è l'esplorazione ai fini dell'integrazione e non c'è dubbio che questa metodologia possa aiutarci a raggiungerlo in maniera più efficace.

Corpo e ricordi
Possediamo due sistemi di codificazione dei ricordi: uno è legato più strettamente al corpo, l'altro a immagini e parole.
La terapia psicocorporea è basata sulla parola, ma si avvale anche dell'uso di esercizi corporei mirati a fare affiorare, utilizzando la codifica corporea, ricordi del passato legati a qualsiasi epoca della storia del paziente.

Il corpo può ricordare
A volte il ricordo che affiora si riferisce a un periodo posteriore a quello edipico. In questo caso è probabile che emerga una serie di elementi di pensiero che saranno espressi mediante il linguaggio. Se i ricordi sono legati a un passato preverbale, invece, il corpo ricorda senza parole, con poche o senza immagini.
Questi ricordi somatici vengono chiamati da Downing cinogrammi, per sottolinearne il carattere non verbale. Nel caso specifico del passato preverbale Downing sostiene che il ricordo corporeo ha una precisione che è impossibile ottenere utilizzando canali diversi. Ora, sappiamo che le immagini evocano spesso ricordi preverbali, e che unite al lavoro corporeo concorrono a una buona integrazione nel paziente.
Il più delle volte si riesce a stabilire se ciò che si presenta durante la regressione è un cinogramma o un ricordo di un periodo successivo.

Un cinogramma, quando si rivela, appare privo della dimensione delle parole e dei pensieri. È appunto un gesto, un movimento. In Biosistemica utilizziamo il concetto di gesto-chiave, che è utile a far esprimere situazioni lontane nel tempo e per loro natura senza parole.
Si tratta di osservare un gesto fatto dal paziente con poca o nessuna consapevolezza, fare notare questo gesto e chiedere di ripeterlo più volte. Anche ripetere assieme al paziente il gesto-chiave aiuta a connettere livelli emotivi inconsapevoli e livelli razionali tra loro scollegati. Questo lavoro di integrazione procede chiedendo, mentre il paziente ripete un gesto che a noi è parso significativo, per esempio battere un pugno sul bracciolo della poltrona, di accompagnare una parola o un suono o chiedere se emerge un ricordo legato a quel gesto.
Naturalmente il terapeuta incoraggerà a più riprese il paziente a trovare il linguaggio adatto a esprimere ciò che sta provando: il risultato sarà una traduzione, un mettere in parole qualcosa che originariamente era al di là delle parole, e ciò richiede l'assistenza del terapeuta.
Quando si lavora con il corpo dal passato può emergere un trauma accaduto una sola volta (cinogramma o normale ricordo secondo dell'età della persona all'epoca del trauma), oppure l'effetto di un vecchio modello interattivo (anche qui cinogramma o normale ricordo secondo l'età del paziente al momento del trauma).

Le prime manifestazioni di una regressione corporea sono, di solito, smorzate e indistinte: il paziente si accorge che sta accadendo "qualcosa" ma ne ha una sensazione sfocata e vaga.
Il terapeuta dovrà fare una serie di valutazioni al fine di decidere se continuare ad approfondire questi stati regressivi. Valuterà se il paziente è pronto a sopportare bene l'emergere dell'emozione e a prendere coscienza di possibili verità penose del suo passato. Il terapeuta può considerare il momento prematuro e rimandare l'esperienza corporea a una fase successiva tornando allo scambio puramente verbale.
Non meno importante è la valutazione, al fine dell'approfondimento dello stato emotivo, dello stato di salda alleanza fra paziente e terapeuta.

Se il terapeuta decide di continuare, il paziente verrà incoraggiato a mantenere la consapevolezza su quanto sta succedendo nel suo corpo e a lasciare che quanto sente si sviluppi ulteriormente. Di solito al paziente si presentano una serie di impressioni indefinite e fuggevoli: l'inizio di uno stato d'animo, un'immagine, una sensazione corporea.
Emergono vari frammenti, apparentemente senza senso, tra i quali il paziente non riesce a vedere un nesso logico ma che formano una rete associativa. Sarà lo psicoterapeuta a cercare di connettere i vari frammenti sparsi.

La strada migliore in questi casi è il rapido spostamento dall'uno all'altro livello di coscienza. Per fare questo si chiede al paziente, per esempio:
  • con che cosa è in contatto a livello di immagine;
  • quali sensazioni prova;
  • quali pensieri gli stanno passando per la mente;
  • quali impulsi all'azione sono eventualmente presenti.
Nella terapia una condizione necessaria è, innanzitutto, che il paziente sia riuscito a superare l'ansia prodotta dai fenomeni del corpo. Se così non fosse il terapeuta non avrebbe la possibilità di lavorare, per questo è importantissima la fiducia che si ha verso il terapeuta, spesso da costruire da zero. Nel caso questa mancasse, il paziente sarà inconsciamente in guardia contro tutto ciò che potrebbe affiorare dagli stati affettivi più profondi. Nel lavoro psicocorporeo si opera per guadagnare la fiducia del paziente, indispensabile per la buona riuscita del percorso, e si cerca di accrescere la fiducia che il paziente nutre per sé, necessaria per la buona riuscita della sua vita.

Bibliografia
  • Downing G. (1995) Il corpo e la parola, Astrolabio, Roma.
  • Giommi E. R. e Cristofori S., a cura di (2009) Il benessere nelle emozioni, La Meridiana, Bari.
  • Liss J., (2007), L'ascolto profondo, La Meridiana, Bari.
  • Liss J., Stupiggia M. (1997), La terapia biosistemica, Franco Angeli, Milano.
  • Mahler M., Pine F., Bergman A. (1978) La nascita psicologica del bambino, Bollati Boringhieri, Torino.
  • Stern D. N. (2010), Le forme vitali. L'esperienza dinamica in psicologia, nell'arte, in psicoterapia e nello sviluppo, Raffaello Cortina, Milano
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