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Da dietro le sbarre, un sogno di vita: teatro e autobiografia. Un intervento presso la Casa Circondariale di Bari
di Marika Massara


"Mettendo piede in carcere, abbiamo seppellito una parte di noi e dei nostri sogni", con queste poche e significative parole Massimiliano racconta la sua esperienza di detenzione.
E' uno dei partecipanti del laboratorio video-teatrale "Dal personaggio alla persona: il teatro come strumento di integrazione e crescita dei detenuti" che e' stato realizzato dall'Associazione Ig.art onlus presso la Casa Circondariale di Bari e finanziato dal Ministero della Giustizia.
I detenuti hanno realizzato un video, un racconto autobiografico, nel senso che prende spunto dalla vita, dai sogni e dalle esperienze dei partecipanti stessi, che si raccontano, che muoiono e lentamente risorgono.
La rappresentazione si apre nel buio, in lontananza si ascoltano solamente arrivare le sirene delle auto delle forze dell'ordine.
Qui, inevitabilmente, muoiono i sogni e un pezzo di vita.
"Entrando qui dentro ho seppellito un sogno, la liberta'", "Siamo tutti condannati", l'uomo incrocia le braccia, si stende e chiude gli occhi, circondato dai parenti che lo piangono.
Quando all'ingresso in carcere i detenuti vanno a consegnare all'ufficio matricola i loro effetti personali, in realta' e' come se lasciassero parti di se stessi, depositando su un finto cadavere, fiori e omaggi a cio' "che non e' piu'", a cio' che "e' lasciato fuori", a "cio' che di se stessi muore un po' ogni giorno".
Il funerale e' metafora di quella parte del detenuto che si spegne, ognuno di loro seppellisce una parte di se stesso.
"Adesso vogliamo andare a riprendere i nostri sogni" recitano insieme i detenuti-attori, cosi' il teatro aiuta a guardare avanti, esorcizzando la perdita di liberta', crea uno sguardo aperto e nuovo sulle proprie prospettive di vita.
Lentamente inizia il riscatto: i sogni non sono "in gabbia" e possono volare lontano.
E allora, si arriva a mettere in scena la propria voglia di liberta', di una vita "normale", di riabbracciare i propri figli o le famiglie lontane.
Quando e' iniziato il laboratorio, ci si e' posti il problema di capire "da che parte iniziare", su quale tema i partecipanti volevano basare la rappresentazione teatrale, quale messaggio volevano comunicare.
I detenuti hanno subito posto l'accento sul messaggio da mandare alla societa' esterna: "ci vedono come dei mostri", "fuori pensano che quando arriva uno nuovo, noi lo picchiamo, ma non e' vero!".
Raccontavano di come ad un nuovo ingresso, tutti i compagni di cella dell'ultimo arrivato, si proponessero per aiutarlo.
Gesti semplici di vita quotidiana: "gli prestiamo il pigiama o il bagnoschiuma, in cella ci aiutiamo a vicenda", ci raccontano, "non e' vero quello che si dice 'fuori' di noi".
Si e' passati alla fase di scrittura e dal tema iniziale della solidarieta', e' iniziato ad emergere tutto quello che li' dentro mancava.
Da un lato quello che avevano (l'amicizia tra compagni di cella), dall'altro quello che avevano perso (la famiglia, l'amore, il lavoro).
Questo secondo aspetto iniziava a pesare di piu' sul loro umore e le produzioni scritte si facevano sempre piu' significative.
L'uso della scrittura, affiancata dalla parte creativa dell'individuo, consente di suggerire nuove strade di conoscenza e di consapevolezza in forma ludica ed esperienziale.
All'inizio i partecipanti erano restii a prendere la penna in mano, anche a causa di una scarsa alfabetizzazione e della paura di essere giudicati.
L'aspetto ludico del laboratorio, la fiducia che cresceva nei confronti degli operatori e la voglia di confrontarsi, ha permesso loro di mettersi in gioco.
In tal modo le regole della scrittura sono diventate, non piu' qualcosa da temere, ma ausilio dell'espressione di se'.
La scrittura creativa, infatti, tende a conciliare due mondi: quello razionale (espresso dalle regole della scrittura) e quello dell'universo interiore (espresso dalla creativita').
Le tecniche di scrittura creativa affiancate ad un percorso autobiografico e al lavoro espressivo della messa in scena hanno consentito di ripercorrere ed elaborare la propria esperienza di vita e ritrovare un filo narrativo che da' senso all'esistenza.
Tali modalita' favoriscono un percorso individuale di riflessione critica e cambiamento che stimola a maturare un progetto personale riguardante la vita futura attraverso l'individuazione e l'espressione delle proprie risorse personali.
Le storie autobiografiche create consentono una distanza da se' dove nasce la possibilita' del cambiamento, un ripatteggiamento con quanto si e' stati, una riconciliazione e rappacificazione che apre nuovi orizzonti.
Durante la fase di scrittura del laboratorio e' stata offerta ai partecipanti un'occasione per riflettere su di se' e sul proprio rapporto con il mondo esterno.
Quando ripensiamo a cio' che abbiamo vissuto creiamo un altro da noi (lo vediamo agire), in tal modo "si impara apprendendo da se stessi" (D. Demetrio, Raccontarsi. L'autobiografia come cura di se', Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, pag.15).
Il raccontarsi e il raccontare attraverso il diario, la poesia, la lettera, diventano forme di liberazione e ricongiungimento. "La narrazione non e' solo modo per esprimersi e comunicare, ma un processo costitutivo dell'identita', origine e approdo di ogni trasformazione di se' [...] Ecco allora che la narrazione clinica puo' essere considerata sia atto del raccontare, processo; sia racconto biografico in cui il riferire la propria storia personale equivale alla ricerca di senso; sia riscrittura, costruzione, reinvenzione che, al di la' della verita' storica e biografica, coglie e trasforma la logica sottesa al meccanismo narrativo-identitario in cui il soggetto e' implicato"
(M. Cavallo, J. Scannella, Narrazione e identita', in Artiterapie tra clinica e ricerca, Edizioni Universitarie Romane, Roma 2007, pag. 207).
Interessante e' stata anche la fase di lettura con l'approfondimento di alcune poesie e testi classici perche' ha dato la possibilita' ai detenuti di sperimentarsi nello studio e di essere stimolati, contrastando la deprivazione culturale.
I testi scritti dai detenuti sono stati quindi integrati con una poesia da loro scelta tra alcuni testi proposti: "L'ode alla vita" di Martha Medeiros, a lungo attribuita erroneamente a Pablo Neruda.
L'analisi del testo ha permesso lo sviluppo del processo pedagogico attraverso la riflessione e la discussione su temi universali come la vita e la morte.
A questo proposito sottolineiamo come l'utilizzo di modalita' teatrali con i detenuti permette un lavoro pedagogico che aiuta i partecipanti stessi a diventare piu' consapevoli dei loro vissuti psicologici e corporei e sostiene l'autostima e la socializzazione.
Al detenuto che si trova a vivere l'esperienza del carcere devono essere offerte occasioni di riflessione e rielaborazione della propria storia di vita, anche soffermandosi sulle scelte fatte e sul come queste scelte abbiano influito sul suo percorso personale.
Il teatro rappresenta uno spazio dove e' consentito di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie idee: uno spazio di liberta' in un luogo di restrizione.
Il confronto tra diverse personalita' e anche diverse etnie, stimola l'integrazione con l'altro da se', con il diverso: in carcere sono tutti diversi ed ugualmente emarginati.
Nel nostro caso insieme a detenuti pugliesi, erano presenti soggetti provenienti da altre parti d'Italia e uno dall'Albania.
Interessante notare che nonostante la diversita' culturale, sono emersi temi universali come la vita e la morte, la famiglia, l'amore, il lavoro e una vita "normale".
Il confrontarsi su questi temi ha consentito la valorizzazione e il rispetto della diversita' stimolando la socializzazione e riducendo il rischio di emarginazione.
Un punto che ci sembra opportuno sottolineare e' che l'attivita' teatrale ha permesso la riflessione sul senso del rispetto delle regole e della disciplina e l'incapacita' di alcuni di riconoscere la funzione dell'autorita'.
Il teatro essendo disciplina, gioco con regole ha consentito ai partecipanti di provare l'esperienza della creativita' e del divertimento all'interno di una struttura normativa.
Questo aspetto ha richiesto notevole sforzo e attenzione poiche' gli operatori erano donne in un contesto di una sezione maschile di un carcere del sud, con tutto cio' che questo implica.
Ci si e' confrontati anche con i limiti imposti dall'Istituzione rispetto a spazi e tempi, spazi spesso troppo angusti e inadatti all'attivita' teatrale.
Tutto quindi imponeva una restrizione della liberta' sia dei partecipanti che degli operatori, ma in questo spazio stretto e a volte soffocante abbiamo fatto viaggiare i nostri sogni fino al giorno della performance finale.
Importante e' stato il momento della manifestazione finale del 9 marzo 2009, dove, oltre a un importante lavoro di re-visione di se stessi per i detenuti, attraverso la visione del videodocumentario finale dell'esperienza realizzata si e' voluto stimolare la diffusione e la comunicazione dell'esperienza alla societa' esterna.
Questo ha offerto ai detenuti che hanno partecipato all'incontro finale, la possibilita' di mostrarsi "abili" e capaci producendo effetti destigmatizzanti sulla societa' e avendo una ricaduta positiva su di loro in termini di autostima.
Al dibattito hanno partecipato: la Direzione della Casa Circondariale di Bari; il Magistrato di Sorveglianza; l'area pedagogica; l'area trattamentale, gli esperti; l'area della sicurezza; gli operatori impegnati nel progetto; i detenuti che hanno partecipato al progetto; le testate giornalistiche invitate.
Importante notare anche la ricaduta positiva sull'Istituzione carceraria, dove anche gli stessi operatori del carcere non erano a conoscenza dell'importanza e del valore dell'iniziativa.
Qui si apre il tema della comunicazione, informazione e diffusione dell'iniziativa, aspetto spesso carente in molte attivita' laboratoriali, che merita uno spazio di riflessione a parte.

Articolo Pubblicato sulla Rivista Nuove Arti Terapie (Nuova Associazione Europea per le Arti Terapie) N. 8 Anno II 2009
Bibliografia
  • M. Cavallo, J. Scannella, Narrazione e identita', in Artiterapie tra clinica e ricerca, Edizioni Universitarie Romane, Roma 2007, pag. 207
  • D. Demetrio, Raccontarsi. L'autobiografia come cura di se', Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, pag. 15
  • M. Massara, Il teatro in carcere: tra liberta' e restrizione, in Nuove Arti Terapie Anno I N. 3/2008