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Psiba: Istituto di Psicoterapia del Bambino e dell'Adolescente - Milano

Psiba
Istituto di Psicoterapia del Bambino e dell'Adolescente

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I Servizi Pubblici di Tutela del Minore: prassi, potenzialità e limiti
di Monica Fumagalli


Relazione tenuta all'interno della Giornata di Studio: "Lo psicologo, il bambino e la famiglia nel mondo degli interventi giuridici" presso l'Istituto di Psicoterapia del Bambino e dell'Adolescente il 18 aprile, 2015.
Dott.ssa Monica Fumagalli, Psicologa Psicoterapeuta, Socio PsiBA, presso cui è anche componente del comitato dell'area Clinica e della Ricerca, Consulente Unità Tutela Minori di Muggiò, Membro del Comitato Scientifico dell'Associazione Onlus "Leparolefannocose".


Premessa
All'interno dell'Istituto presso cui opero molta attenzione viene dedicata alle prassi di lavoro clinico applicato a specifici contesti istituzionali (servizi socio-assistenziali ed educativi, tribunali, gruppi, ospedali, scuole, ecc...), in linea con l'evoluzione dei bisogni che emergono dalla popolazione e sotto la pressione delle inevitabili variazioni di operatività che vedono coinvolta in prima linea la nostra professione, soprattutto in qualità di professione sanitaria.
Agli esordi la riflessione psicoanalitica sembrava inconciliabile con contesti diversi da quelli in cui originariamente era stata pensata e poteva apparirci come creazione di un metodo da condursi solo in un "laboratorio speciale", dotato di particolari strumenti ed apparecchiature tecniche.
Oggi, invece, incontriamo "psicoanaliticamente" il paziente in mille contesti, contenitori, luoghi terapeutici e non, anche al di fuori delle canoniche e ortodosse "regole di setting"... e incontriamo anche – anzi molto sovente e addirittura forse più spesso - pazienti che non risponderebbero ai "criteri di analizzabilità" valutati come possibili dalla teoria psicoanalitica originaria.
Partendo da alcune considerazioni sulle prassi operative, sui limiti e sulle risorse del lavoro psicologico nel settore pubblico vogliamo qui proporre una riflessione sulla specificità del lavoro clinico all'interno di un contesto restrittivo e spesso coatto quale quello della Tutela Minori.
Il Servizio Tutela Minori è un'istituzione che, sul territorio, traduce in termini operativi le richieste dell'Autorità Giudiziaria rispetto alla messa in protezione dei minori che vivono all'interno di situazioni familiari multiproblematiche e disfunzionali per una sana crescita psicologica ed emotiva, o che segnala all'Autorità Giudiziaria situazioni di rischio evolutivo intercettate sul territorio, con l'obiettivo di ricevere un mandato per poter svolgere un approfondimento psicosociale sul nucleo familiare.
Il percorso ed il processo di "tutela" si attiva quando, a fronte del disagio di un minore, si rileva la mancanza del riconoscimento, della capacità e volontà di farvi fronte da parte di chi si occupa della cura del minore stesso. In questi casi si rende necessario l'intervento di agenzie esterne, operatori sociali e di giustizia che si assumano direttamente la responsabilità e la protezione del soggetto debole.
Come operatori ci siamo interrogati su quale rappresentazione interna i minori si potessero costruire di questo servizio che spesso entra prepotentemente nelle loro vite e su come vengano percepiti gli operatori - Psicologo ed assistente sociale - che per un lungo tempo possono diventare nuovi riferimenti adulti presenti nella loro quotidianità.
Ripenso, a questo proposito, all'incontro con Mirta che è riuscita con questo disegno a raccontarci del suo mondo interno, delle sue fantasie e anche forse dei suoi bisogni e desideri consegnati a questi nuovi adulti che ha incontrato al Servizio.

La casa del giudice
Mirta, di 7 anni, viene segnalata dalla scuola per grave trascuratezza, incuria e violenza assistita; a seguito di un provvedimento del Tribunale per i Minorenni, che affida la minore ai Servizi Sociali e che limita la "potestà genitoriale", Mirta viene allontanata dalla famiglia naturale e collocata a tempo pieno presso una famiglia affidataria.
Nonostante i provvedimenti emessi dall'Autorità Giudiziaria siano sempre a favore di minori, comunicare ai bambini un progetto che prevede l'allontanamento dalle sue figure di riferimento si traduce spesso, per gli operatori, in un'esperienza carica di vissuti emotivi ambivalenti e dolorosi.
Spesso ci si interroga su quali parole possano essere sufficientemente digeribili e comprensibili per un bambino al quale si deve comunicare la fragilità dei suoi genitori e la prospettiva di una nuova affiliazione.
Il disegno con il quale Mirta, durante il percorso di presa in carico, rappresenta graficamente il suo immaginario e la sua elaborazione interna di questa istituzione, contiene molti elementi di fiducia e di speranza rispetto alla capacità che i minori posseggono di attingere alle proprie risorse interne per potersi affidare ai nuovi adulti che sentono capaci di proteggerli e di riattivare le loro funzioni vitali.
Mirta sembra aver colto la funzione contenitiva del Servizio e del Tribunale, simboleggiata dalla grande casa con un camino che sembra una corona (il giudice... il grande saggio) che, con la sua funzione protettiva le ha permesso il riattivare funzioni vitali (i fiori, il cuore) inerenti la cura di sé, la ripresa scolastica ed amicale.
Dentro questa grande "casa" Mirta rappresenta però anche il luogo del suo trauma, la sua vecchia casa dalla quale il "grande saggio" ha deciso di allontanarla, che viene rappresentata con un tratto grafico caratteristico delle storie "traumatiche".
Mentre Mirta viene messa in protezione, i suoi genitori devono attivarsi per recuperare le loro competenze e riparare quelle funzioni genitoriali che il giudice ha deciso di limitare.
Il progetto di intervento attivato per questa minore ci avvicina ai modelli operativi ed alle metodologie condivise dei Servizi di Tutela che comportano una presa in carico congiunta dei minori e dei genitori.
È importante, infatti, tener conto non solo dei fattori di rischio, ossia delle situazioni avverse e pericolose nelle quali possono essere coinvolti i bambini, ma riferirsi ad un modello concettuale che tenga conto delle complesse relazioni con i fattori protettivi che potrebbero ridurre la portata delle condizioni critiche e favorire i processi di resilienza.
Il servizio Tutela Minori deve quindi saper attivare una visione binoculare attraverso uno sguardo in grado di tenere nella mente sia i bisogni dei minori che il funzionamento dei loro genitori, per i quali dovrà svolgere un'attenta valutazione delle capacità genitoriali e della loro recuperabilità, con il fine di predisporre un dispositivo di "presa in carico" funzionale a riattivarne le loro capacità residuali.
Vorrei pertanto riflettere su come le prassi di lavoro nel campo delle indagini psicosociali richieste dal Tribunale per i Minorenni e i provvedimenti prescrittivi possano diventare uno strumento clinico in grado di offrire un'esperienza relazionale di natura potenzialmente trasformativa, in assenza di richiesta e di iniziale motivazione al cambiamento.
Le riflessioni di questo lavoro vertono, quindi, sulla possibilità di operare come clinici, all'interno di un ambiente che porta con sé una matrice relazionale di natura valutativa e potenzialmente persecutoria.
Gli strumenti operativi di cui disponiamo sono le tecniche personali di valutazione delle relazioni familiari e la relazione finale da inviare all'Autorità Giudiziaria rispetto alla richiesta di indagine.
La valutazione psicologica delle relazioni familiari e delle competenze individuali, seppure non si configuri come un intervento terapeutico, può avere una forte pregnanza clinica e determinare grossi movimenti di natura trasformativa a seconda della natura dell'incontro in cui ciò avviene, riuscendo quindi a preservare uno sguardo proprio sulla relazione.
La relazione nel contesto della tutela minorile è un assunto messo particolarmente alla prova e sollecitato da intensi coinvolgimenti emozionali. Chi giunge ai Servizi è solitamente coinvolto in relazioni di pregiudizio, soprattutto tra genitori e figli.
La relazione con utenti che provengono da nuclei familiari multiproblematici, con esiti pesanti e di grave deterioramento, attiva nell'operatore un tale coinvolgimento emotivo che esso rischia di interferire significativamente con la possibilità di aprirsi ad una relazione empatica e di ascolto. L'ansia che si può attivare e il senso di emergenza/urgenza, possono diventare forze motrici che rischiano di fari agire interventi riparatori o espulsivi di contenuti psichici difficilmente tollerabili.
Lavorare a stretto contatto con gravi fragilità genitoriali e con le gravi deprivazioni dei minori, rende, infatti, altissimo il rischio di identificazione degli operatori o solo con i bisogni del bambino o solo con i bisogni di uno dei due genitori, favorendo scivolamenti in collusioni con le dinamiche patologiche dell'ambiente di vita dei minori.
Le interferenze emotive quindi, soprattutto in ambito di tutela minorile, si possono connotare di valenza traumatica e provocare cesure profonde, non solo per i nostri utenti che attraverso gli agiti disfunzionali comunicano la loro impossibilità di mentalizzare, ma anche per gli operatori quando sono troppo sollecitati emotivamente.
Per poter trasformare l'assetto dell'urgenza in un assetto di accoglienza e di empatia, lo Psicologo che lavora in Tutela Minori deve riuscire a compiere un passaggio di "sguardo": dagli occhi alla mente, riuscendo ad osservare ciò che paradossalmente non è osservabile. Per questo l'osservazione dell'altro con uno sguardo differente, ad esempio da quello attivato dall'Autorità Giudiziaria o dall'assistente sociale, è possibile solo se procede parallelamente all'osservazione del Sé, attraverso quella che Bion definisce una "visione binoculare".
Mantenere un costante sguardo verso il proprio mondo interno permette anche di mettere a fuoco e riconoscere le proiezioni e le reazioni personali, che sono necessariamente da separare dalle reali esigenze dell'intervento.
La manutenzione dell'assetto mentale dello Psicologo coinvolto nella clinica della tutela minorile è quindi garantita dall'attivazione di un processo di costante verifica interna delle osservazioni sul minore e sulla sua relazione con le figure genitoriali, tra l'asse diacronico (la storia dei soggetti) l'asse sincronico (le modalità di relazionarsi di tali aspetti riferiti fuori dall'osservazione) e il rapporto tra il minore e l'osservatore nel qui ed ora (transfert e controtransfert).
L'ascolto empatico durante il colloquio e l'incontro con il nostro interlocutore consentono non solo di mettersi in relazione con il minore e la sua storia, ma di ascoltare noi stessi e le nostre emozioni suscitate dall'osservazione di tale storia e di tali modalità relazionali.
L'empatia, presupposto teoretico della solidarietà tra gli esseri umani, consente di stabilire un reale rapporto comunicativo ed è possibile solo se vi è un'ampia disponibilità osservativa. Tale disponibilità risulta funzionale anche all'interno dell'équipe integrata che opera nel Servizio Tutela Minori, quando il lavoro congiunto Psicologo-assistente sociale richiede necessariamente una tutela ed una salvaguardia del poter pensare rispetto alla tendenza all'agire.
Il disegno di Mirta ci ha ben evidenziato l'importanza di poter intercettare uno sguardo empatico, realmente interessato alla sua storia. Se si riesce a delegare all'assistente sociale il compito di Alter Ego, istanza necessaria all'interno di tale cornice di presa in carico, lo Psicologo può esercitare la sua attitudine all'ascolto che soprattutto con le situazioni di maggior gravità richiede una certa capacità di immedesimazione (Radice, 1987) o, come la Nissim (1984) ci ricorda nel suo lavoro Due persone che parlano in una stanza, il poter vedere con gli occhi del paziente apre un margine di comprensione ed empatia che permette di fare l'esperienza del sentirsi riconosciuto, contenuto e forse compreso.
Se pensiamo che gli utenti che giungono a questo servizio sono solitamente persone molto spaventate, diffidenti e rabbiose, che non portano una richiesta spontanea ed una motivazione al cambiamento consapevole, posseggono caratteristiche strutturali che vertono verso la tendenza ad agire impulsivamente, possiamo comprendere come una simile esperienza possa essere promotrice e riattivatrice di un'istanza riflessiva.
Questa è la speranza che nutriamo per gli utenti che incontriamo, ma anche per gli operatori che lavorano in questo Servizio, affinché ritrovino ogni giorno quella motivazione e quella giusta distanza emotiva per poter offrire uno sguardo nuovo e potenzialmente funzionale ad una trasformazione.

Bibliografia
  • Barbero Avanzini B., "Giustizia minorile servizi sociali" Franco Angeli, Milano, 1997.
  • Cirillo S. e Di Blasio P., "La famiglia maltrattante", Cortina, Milano, 1989.
  • Di Blasio P., "Psicologia del bambino maltrattato", Il Mulino, Bologna, 2000.
  • Monniello G., "Il lavoro psicoanalitico con adolescenti nelle istituzioni", Adolescenza e Psicoanalisi, IV, 2, 2004.
  • Nissim L. M., "Due persone che parlano in una stanza", Rivista di Psicoanalisi, vol. 30, n. 1, Edizioni Borla, Roma, 1984.

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