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Psicoanalisi e Conversazionalismo
di Antonino Minervino
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Ho un compito che sento facile ed entusiasmante, ma nello stesso tempo difficile e molto impegnativo: introdurre agli elementi di base
del Conversazionalismo (1) e rendere disponibili i primi strumenti per orientarsi in questo universo.
Da quando ho saputo che avrei dovuto affrontare quest'impegno, forse come soluzione a quel sentire contrastante di cui sopra, mi si e'
affacciata alla mente una scena che poi mi ha sempre accompagnato.
Ho immaginato di essere un conversante e di avere un interlocutore, curioso ed appassionato, che volesse conoscere da me gli elementi
indispensabili del Conversazionalismo e delle sue tecniche per potersi muovere con agio e con piacere nella lettura di libri, articoli e
materiale prodotto dall'Accademia.
Immaginare un incontro felice col Lettore, stimolante per il suo voler sapere e capire, mi aiuta e mi fa muovere nelle mie conoscenze con
attenzione e prudenza: mi interessa poter dire quanto sia importante riuscire ad acquisire quella che abbiamo indicato come la competenza
conversazionale, che insieme alla competenza del sapere e a quella relazionale costituiscono le basi per una professionalita' che possa
assicurare prestazioni di qualita', efficienti ed efficaci.
La competenza conversazionale e' quella competenza che consente di saper usare le parole che si scambiano durante le attivita'
professionali e per la cui acquisizione ci si rifa' alla ricerca di Giampaolo Lai ed all'attivita' dell'Accademia delle Tecniche
Conversazionali (Minervino, 2001, 2003).
Una presentazione sintetica del Conversazionalismo, dell'Accademia delle tecniche conversazionali (2), della rivista Tecniche conversazionali
(3), del "Dizionario delle Tecniche conversazionali (4)" si trova nelle note a pie' di pagina.
Le parole come esclusivi abitanti della scena
Siamo soliti pensare ad in incontro fra due o piu' persone come ad una situazione complessa dove si intrecciano diversi piani: psicologici,
emozionali, biologici, comportamentali, contestuali e via dicendo.
Facciamo l'esempio di un incontro professionale fra due interlocutori che si incontrano per un colloquio psicoterapico, uno nel ruolo di
terapeuta ed uno in quello di paziente.
Se immaginiamo questa scena subito pensiamo all'importanza dell'ambiente in cui l'incontro si svolge, dell'universo psicologico emotivo del
paziente e a cio' che lo ha portato a chiedere il colloquio, dell'universo psicologico-emotivo del terapeuta e a cio' che lo ha portato a
fare quella professione, della durata del tempo che passano insieme, dei modi con cui si svolge il colloquio, degli atteggiamenti dei due
interlocutori, della loro mimica, del tono e del timbro della loro voce e di cosa si dicono, delle parole che si scambiano, delle parole
che ineluttabilmente andranno ad abitare la scena del loro incontro.
Dell'importanza di tutto cio' sappiamo e sappiamo anche dell'attenzione riservata alle parole, di solito affidata alla memoria, all'impressione
ed alla traccia che queste possono lasciare in ognuno dei due interlocutori.
Il primo passaggio del Conversazionalismo e' quello di dare un'importanza del tutto particolare alle parole della conversazione,
tanto che, senza disconoscere l'importanza ed il valore di tutti gli elementi che abbiamo sommariamente citato prima, da quella scena dove
sorgono le preleva e ne fa un elemento a se' stante, un testo vero e proprio che ha una sua autonomia, per potere, con quelle parole del
testo, farsi delle domande, provare a darsi delle risposte, trovare delle figure cui poter dare un valore e cercare, fra queste, cambiamenti
testuali cui dare il valore di risultati.
Secondo un'ottica conversazionale noi ci occupiamo delle parole come esclusivi abitanti della scena psicoterapica (Lai e Fioravanzo,
1992).
La felicita' conversazionale sul crinale tra mondo linguistico e mondo extralinguistico
Torniamo all'incontro tra due parlanti.
Quando consideriamo lo scambio verbale che avviene nello spazio fisico-acustico, in un tempo e in un luogo determinato, ci confrontiamo con
la conversazione materiale, quando invece consideriamo il testo audioregistrato e trascritto di quelle parole ci confrontiamo con la
conversazione immateriale.
Proviamo ora ad orientarci meglio dicendo come intendiamo la conversazione e come questa si pone rispetto alle chiacchiere e alla comunicazione,
tutte accomunate dallo scambio di parole.
Ebbene, per la Conversazione, le transazioni verbali, lo scambio di parole, hanno due regole molto importanti: la prima e' considerata una
regola costitutiva e si enuncia con la questione del "Come se ne esce?", la seconda e' considerata normativa ed e'
l'orientamento degli interventi del Conversazionalista secondo il criterio della felicita'.
Per la chiacchiera non si pone quella che abbiamo dato come regola costitutiva e cioe' il "come se ne esce", mentre per la comunicazione,
soprattutto quella in ambito terapeutico, si pone soprattutto la questione del cambiamento che dovrebbe avvenire nelle persone.
Nel Conversazionalismo, la questione del "come se ne esce?" tende a risolversi applicando il criterio della regola normativa della
felicita'.
Bisogna infatti sottolineare che nel Conversazionalismo ci si appassiona al tentativo che consenta agli interlocutori di condividere una
conversazione felice.
Mi rendo conto che l'uso di una parola come felice potrebbe rendere problematico il discorso ed il Lettore potrebbe lasciarsi prendere da
una folla di domande:
"ma di quale felicita' vai parlando?"
"dici della felicita' del tuo paziente, di quella tua, di quella vostra?"
e poi, "cosa intendi per felicita'?"
e ancora, "sei proprio sicuro che di una conversazione si possa dire felice?"
Cercando di approfondire il concetto, ci si imbatte nella doppiezza della lingua: "felice" si dice di una mossa, di una formulazione,
di un'espressione, ma si dice anche di una persona.
La felicita' puo' essere linguistica, ma anche psicologica.
Occupandoci di conversazione, ci troviamo sul crinale tra due mondi, il mondo delle parole e il mondo delle cose, il mondo linguistico e
il mondo extralinguistico (Lavanchy, 2002).
Non e' che non ci interessi la felicita' come emozione che gli interlocutori possono sentire, ma ci concentriamo sulla felicita' come
qualita' della conversazione: qualita' legata alla possibilita' di sciogliere un problema della conversazione, per cui prima questa
qualita' era assente o piu' bassa, poi risulta essere presente o piu' alta.
Il "come se ne esce?" si mostra quindi come quell'insieme di interventi che uno degli interlocutori (il Conversazionalista) fa per
incrementare la qualita' conversazionale della felicita' o per farne abbassare l'infelicita'.
Il Conversazionalista usa delle vere e proprie tecniche e sullo studio di queste tecniche e' basata l'attivita' dell'Accademia delle Tecniche
Conversazionali, un gruppo di ricerca che si e' costituito nel 1989 attorno a Giampaolo Lai.
Riprendo come miglior modo per chiarire questo passaggio quanto Lai scrive nella prefazione del suo libro La Conversazione felice,
titolo inequivocabile a proposito delle intenzioni, per altro dichiarate, dell'autore:
"... Sono soprattutto interessato a un buon andamento, a un andamento felice della conversazione.
Evidentemente secondo criteri soggettivi miei, non potendo certo sapere qual e', per il mio interlocutore del momento, una buona conversazione,
una conversazione felice.
Mi piace anche registrare le conversazioni, le mie conversazioni.
Alcune conversazioni registrate, solitamente quelle che mi sono apparse nel loro snodarsi poco felici o decisamente infelici, le riascolto
o le trascrivo.
Le studio attentamente, ne analizzo le sequenze, cerco di scoprire se e dove e in che modo una sequenza infelice e' stata propiziata da un
mio contributo infelice.
Nelle successive conversazioni, poi, il ricordo delle conversazioni studiate, o passate, mi aiuta, credo almeno a volte, a evitare i
contributi che mi sono sembrati propiziatori di conversazioni infelici, per privilegiare i contributi che mi sono sembrati, in conversazioni
analoghe precedenti, propiziatori di conversazioni felici"
(Lai, 1985).
Dalla conversazione immateriale al calcolo degli indicatori testuali
Adesso spostiamoci da un complesso accadere materiale, l'incontro fra i due interlocutori, al testo registrato e trascritto della conversazione
che, grazie all'uso di un registratore che abita insieme ai due protagonisti la scena di quell'incontro, consente di avere a disposizione
le parole nella esatta successione, quantita' e qualita' in cui sono state pronunciate.
E con le parole di quel testo i Conversazionalisti fanno i conti, in tutti i sensi.
Certo si pongono molte questioni fra i nessi possibili fra i due mondi, quello dell'accadere materiale abitato dalle persone, dai
loro corpi, dai loro sentimenti, dalla loro voce, dagli eventi psicologici, dalle cose (la conversazione materiale) e quello delle parole
del testo (la conversazione immateriale).
Ma il Conversazionalista quando si pone di fronte alle parole del testo, prima di essere sopraffatto dai possibili infiniti interrogativi
che gli sopraggiungono se si interroga sul problema dei nessi, considera il testo come a se' stante e di questo si occupa.
Allora il testo si mostra con il suo susseguirsi di turni verbali fra i due interlocutori, di solito con il Conversazionalista che occupa
meno spazio nel testo rispetto al suo interlocutore.
E' forse uno dei primi dati che si tende ad osservare.
Poi nei turni dell'interlocutore il Conversazionalista cerca i verbi e i nomi e calcola il loro rapporto (indice di riferimento).
La ricerca dell'io delle frasi consente di mettere nella giusta evidenza il soggetto grammaticale ed ha un ruolo di particolare importanza
se si pensa che ad esso
"... afferiscono i predicati finzionali.
I piu' frequenti predicati finzionali sono credere, fingere, illudersi, immaginare, fare come se, darsi arie di, sognare.
Mediante i suoi predicati finzionali il soggetto grammaticale apre all'universo del possibile"
(Lai, 1993).
Aprire all'universo del possibile e' una delle tecniche cui il Conversazionalista ricorre quando puo' incrementare quel tasso di felicita'
di cui si diceva prima.
Da questo punto di vista, per esempio, risulta di grande interesse quando l'io delle frasi scompare (lo abbiamo chiamato eclissi dell'io) e
quando invece ritorna ad abitare le frasi del nostro interlocutore in virtu', ci piace pensarlo, di un intervento del Conversazionalista.
Con i turni verbali dell'interlocutore si procede creando delle colonne numerate in progressione dei predicati ed in ogni riga si mette
l'io, se c'e', e poi leggermente spostato il verbo ed ancora accanto il modo ed il tempo.
E' possibile quindi raccogliere gli elementi delle colonne in uno specchietto che mette subito in evidenza la quantita' assoluta dei verbi
e le relative percentuali che riguardano l'afferenza all'io, tempi e modi grammaticali e negazioni.
Sono elementi che dicono molto di un testo e il loro presentarsi e modificarsi nel corso della conversazione consente di apprezzare quei
cambiamenti che per il Conversazionalista rappresentano dei risultati.
Col procedere della ricerca, studiando le parole del testo, abbiamo poi dato importanza non solo ai verbi, ma anche alle parole che si
riferiscono alle cose mettendo in rapporto fra di loro le quantita' assolute dei nomi e dei verbi e creando un indice cui abbiamo dato il
nome di indice di riferimento.
Rispetto al numero totale delle parole di un testo, si puo' evidenziare in che percentuale sono rappresentati i sostantivi e i verbi, oppure,
con un'operazione ancora piu' significativa, si prendono il numero totale dei nomi e dei verbi e li si mettono in rapporto fra di loro,
ottenendo cosi' l'indice di riferimento il cui valore e le cui variazioni possono dare indicazioni di grande interesse.
Se proviamo a pensare ad un testo che presenta pochi sostantivi ed una prevalenza di predicati, l'indice di riferimento tende ad essere basso
e ci dice che e' un testo in cui poco ci si riferisce alle cose del mondo, alle cose indicate dai nomi, come dire che di poche cose si predica
tanto, e' come se si potesse apprezzare una tendenza verso il generico.
Al contrario, se proviamo a pensare ad un testo con molti sostantivi e una quantita' relativamente bassa di predicati, l'indice di riferimento
tende ad essere alto e ci dice che e' un testo in cui tanto ci si riferisce alle cose del mondo, quelle indicate dai nomi, ma di queste poco
si predica, come se si potesse apprezzare una tendenza verso la concretezza.
La ricerca si e' poi sviluppata verso le forme logiche del testo, con l'individuazione degli operatori logici che reggono le singole frasi,
l'attenzione alle figure del tempo, dell'opacita' e della trasparenza e la loro raccolta in specchietti riassuntivi.
Elogio dell'incoerenza
Occupiamoci adesso di altre caratteristiche della conversazione.
La coerenza e la coesione, per esempio, sono proprieta' di un testo che si apprezzano a "prima vista", o a "primo ascolto" se ci riferiamo
all'ascolto delle parole quando vengono pronunciate in una conversazione.
Se ci troviamo di fronte ad un testo che presenta buoni legami logici fra le cose che le parole indicano, fra i loro significati, ne
apprezzeremo la coerenza.
Se ci troviamo di fronte ad un testo che presenta buoni legami fra i suoi aspetti formali, ne apprezzeremo la coesione.
La prima quindi si rifa' alla logica ed ai significati, la seconda alla grammatica ed alla sintassi.
Se un testo si impoverisce dei suoi legami logici e di significato tendera' alla incoerenza; se i legami formali degli elementi che lo
costituiscono sono pochi e deboli, tendera' alla frammentazione.
Quello che risulta ancora piu' interessante e' come queste due proprieta' di un testo possono variare indipendentemente, tant'e' che ci
possiamo trovare di fronte a un testo che si presenta decisamente incoerente pur nel suo essere coeso (come succede spesso nei turni verbali
dei pazienti Alzheimer), oppure con una sua apprezzabile coerenza pur nel suo essere frammentato (come si osserva per esempio nei testi dei
pazienti ansiosi) (Lai e Sedda, 2000).
Eccoci ora di fronte a concetti come coerenza e coesione di un testo che evocano una sorta di "fantasma" che abita la nostra cultura, ma
con il quale non hanno, per fortuna, nulla a che fare.
Mi riferisco al mito della coerenza, che Lai rinomina come pregiudizio identitario nel suo "Elogio dell'incoerenza" posto a
prefazione del libro Disidentita':
"... La condizione corrente di una persona che non solo puo' apparire differente a persone differenti o alla stessa persona in spazi e
tempi differenti, ma anche vedere gli altri in modi che cambiano coi salti di universi, doppi, multipli, differenti, questa condizione viene
presa come modello e prototipo della pazzia.
La salute psichica e' allora funzione dell'identita'.
La pazzia e' un incidente di percorso dell'identita'"
(Lai, 1988).
Disidentita' e' dunque un altro concetto fondamentale: il nome che compare nel testo e che indica Alberto puo' essere considerato come abitato
da infiniti Alberti, tutti possibili e diversi e legittimi, ognuno dei quali puo' essere rinominato con quella che e' stata indicata come
tecnica dei battesimi (5), tecnica che consente al Conversazionalista nella conversazione materiale di aprire ad altri universi nel
tentativo di incrementare il tasso di felicita' della conversazione.
Qualche tempo fa, mentre era in corso la guerra in Kossovo, riflettendo su Identita', Disidentita' e Anidentita' scrivevo:
"Quello che con il Conversazionalismo siamo andati spesso a ricercare nei testi delle nostre conversazioni professionali ha molto a che
fare con questi concetti e abbiamo avuto conferma dell'indispensabile ruolo dell'identita' per la costruzione ed il mantenimento della
felicita', del benessere.
L'identita' non come figura fissa e cristallizzata per sempre che immodificabile ci rappresenti nel tempo e nelle esperienze, come un certo
elogio della coerenza vorrebbe!
Ma come una straordinaria risorsa che ci consente di moltiplicare i nostri possibili io, infiniti, come infinite sono le percezioni che
possiamo avere di noi, che gli altri possono avere di noi e che noi possiamo avere degli altri.
Abbiamo cosi' cominciato ad usare nelle nostre conversazioni terapeutiche la tecnica dei battesimi, scomponendo il nome del nostro
interlocutore e trattandolo come nome che contiene tanti possibili nomi, per liberarli da una fissita' che li imprigiona, fissita' che
spesso e' l'espressione di quella malattia, di quella sofferenza che porta molte persone a proporsi a noi come pazienti.
Uno degli aspetti piu' tragici dell'esperienza depressiva, ad esempio, consiste nella fissita' dell'identita', nell'impossibilita' di essere
disidentici, nel dolore di essere sempre solo immobilizzati su un'unica e immutabile identita'.
Quando una persona si ammala dispone della possibilita' di non essere identificato solo con la propria malattia e ritengo questa una risorsa
di straordinaria importanza per la nostra salute, di cui forse non si e' ancora esplorata e riconosciuta tutta la potenzialita'.
Pensiamo ad una nostra esperienza di malattia piu' o meno importante e a come avremmo fatto se non avessimo potuto disporre delle tante altre
possibili identita', o a come ci si potrebbe sentire se ognuno fosse condannato alla sola, unica, esclusiva identita' con la propria malattia.
Ritornando alla testimonianza offertaci dall'esperienza della guerra, non e' forse la disintegrazione dell'identita' il piu' disarmante, il
piu' terribile, tra i tanti dolori inflitti alle persone che la vivono sulla propria pelle?
Dalla fissita' dell'identita' del depresso si passa alla tragedia della privazione dell'identita' delle persone che subiscono la guerra:
l'anidentita'"
(Minervino, 2001).
I motivi narrativi
Quando il Conversazionalista ha a che fare con il testo della conversazione immateriale tenta di individuare nei turni verbali del suo
interlocutore quelle unita' minime di senso che gli sembra di intravedere: le potra' trovare in una frase, in una parte della frase,
addirittura in una sola parola o ancora nel susseguirsi di piu' frasi.
Si tratta dei motivi narrativi, un po' come quando si ascolta un brano musicale e per indicarlo se ne coglie una determinata sequenza o nel
rievocare una lettura, un racconto sopravanza un'immagine, una scena, una piccola parte di quell'insieme che ci pare poter essere da questa
rappresentata.
Ed e' possibile che il motivo narrativo, i motivi narrativi che possono essere tratti dai turni verbali del nostro interlocutore possano
essere rappresentati da qualcosa che e' posto fuori dal testo medesimo che li ha generati, come un mito, una brano della letteratura, un quadro.
E' una sorta di operazione di sintesi che il conversazionalista tenta di fare anche durante 1'ascolto della conversazione materiale e grazie
alla quale mette in atto una tecnica fondamentale: la restituzione del motivo narrativo (6).
Ma quello che piu' conta e' che si tratta di un'opportunita' che il Conversazionalista tenta di offrire al proprio interlocutore per
riprendere il proprio turno verbale senza un'attribuzione di senso che non sia contenuta nella parole dette, con una sostanziale accettazione
di queste: una restituzione vera e propria, senza interpretazione.
La capacita' di ascoltare
Ho cominciato questo capitolo immaginando una scena che mi vedeva impegnato in una conversazione con un interlocutore: mi interessavano la
sua disponibilita', la sua curiosita', il suo interesse.
Dovrei forse chiedermi a questo punto quanto sia riuscito nel mio intento, ma nulla avrei potuto se il mio interlocutore non avesse messo
in campo la sua capacita' di ascoltare.
Penso a questa capacita' come ad un elemento fondamentale per professioni come le nostre, come ad un dispositivo senza il quale non e'
possibile creare quelle condizioni minime affinche' il nostro agire professionale produca risultati soddisfacenti per noi e per i nostri
interlocutori.
Vale nel nostro quotidiano, vale in ogni ambito professionale, vale soprattutto in quello sanitario e socio-assistenziale.
Il Conversazionalismo, nella sua attenzione al testo della conversazione immateriale e nel suo insieme di tecniche da utilizzare nella
conversazione materiale, non prescinde dall'ascolto, anzi guarda a questa capacita' come ad un elemento senza il quale la conversazione
materiale prima e quella immateriale poi difficilmente potrebbero ispirarsi ai due principi che abbiamo indicato all'inizio: il "come se
ne esce" ed il criterio della felicita'.
II superamento del pregiudizio conversazionale
Un'ultima cosa merita di essere messa in evidenza: un importante effetto che la ricerca ha prodotto e' stato quello che abbiamo indicato
come il superamento del pregiudizio conversazionale.
Fin dal nostro primo convegno ("Caos", Parma, 1998) era risultata evidente la possibilita' di andare oltre il luogo comune per il quale, per
esempio, con i "matti" non fosse possibile una conversazione.
In realta' gia' nel 1990 avevamo delle evidenze che tale pregiudizio non avesse ragione di essere.
Roullet in Un salotto fra le nuvole (1990) ci aveva mostrato una bella conversazione con un grave paziente psicotico.
Da quel resoconto era derivata interventi di accettazione (7) una delle prime voci del Dizionario di Tecniche, cui ha fatto seguito,
dopo il Convegno su "Caos", la voce interesse conversazionale (8) che contiene in termini piu' espliciti il concetto del superamento
del pregiudizio conversazionale.
Parliamo di un pregiudizio che non si applica solo a questa o quella categoria di persone magari grazie all'utilizzo di qualche diagnosi, ma
serpeggia nelle relazioni quotidiane, private e sociali, piu' di quanto si creda.
In questo senso gli studi di Lai e dei ricercatori dell'Accademia hanno prodotto dei risultati di grande interesse.
Soprattutto, scacciando il pregiudizio conversazionale, hanno aperto uno scenario abitato non piu' da persone tragicamente sole, ma da persone
di nuovo restituite alla dignita' di interlocutori legati dalle parole della conversazione.
NOTE:
- "Conversazionalismo". E' una concezione e una pratica di tutte le transazioni verbali nelle quali i partecipanti portano la
questione: "Come se ne esce?" e si muovono secondo il criterio della felicita'.
Il dispositivo del Conversazionalismo parte dal testo, in particolare dai microframmenti di conversazioni professionali registrate e
trascritte, e al testo ritorna.
- "Accademia delle tecniche conversazionali" e' un'associazione costituitasi nel 1989 che si propone come luogo d'incontro per
favorire lo studio e la ricerca delle tecniche conversazionali professionali.
Tale studio e ricerca avvengono attraverso la rivista Tecniche conversazionali e le riunioni scientifiche dei soci ("I seminari del sabato"
che si svolgono a Milano, al Centro Congressi Stelline, l'ultimo sabato del mese).
Giampaolo Lai ne e' socio fondatore e presidente.
- Tecniche conversazionali e' una rivista semestrale, prima edita da Edizioni La Vita Felice, Milano, ora on line
(www.tecnicheconversazionali.it).
Direttore responsabile Giampaolo Lai, Capo redattore Pierrette Lavanchy.
La pubblicazione e' iniziata nel gennaio 1989 presso l'Editore Riza col titolo Tecniche, poi e' passata alle Edizioni La Vita
Felice modificando il titolo in Tecniche conversazionali col numero 15 del giugno 1996.
E' organo ufficiale dell'Accademia delle tecniche conversazionali, gemellato con il Laboratorio delle tecniche conversazionali di Prato e il
Centro di psicologia e Analisi Transazionale di Milano.
Si indirizza a tutte le persone che guardano alla conversazione come al momento caratterizzante delle loro attivita' professionali.
La rivista privilegia tre campi correlati tra di loro:
a) i resoconti tecnici, registrati e trascritti, di conversazioni professionali;
b) le conversazioni con i lettori che sono chiamati a discutere intorno ai resoconti tecnici;
c) il Dizionario, composto dalle voci connesse alle pratiche conversazionali e ricavate dai resoconti tecnici.
- "Dizionario delle Tecniche conversazionali" e' una rubrica fissa della rivista Tecniche conversazionali in cui vengono esposte
le varie tecniche, riportando per ciascuna la definizione; alcuni esempi tratti per lo piu' da testi di conversazioni registrate, trascritte
e pubblicate su quel numero o su altri numeri della rivista; le funzioni e i risultati della tecnica; le analogie o intersezioni con altre
tecniche.
Le varie "Voci" del Dizionario si possono trovare raccolte in: S. Cesario, L. Filaste (a cura di), Stelle fisse e costellazioni mobili;
- Tecnica dei battesimi. Con l'espressione "tecnica dei battesimi" designamo una procedura conversazionale mediante la quale il
nome proprio che correntemente si applica a una persona, mettiamo Marina, viene trattato come un nome sortale, o comune, scritto con la
minuscola, marina, che viene a designare una classe di individui, ciascuno suscettibile di un suo nome proprio, mettiamo Mary, Rina e altri
("Dizionario delle tecniche conversazionali", Tecniche, 16, 1993).
- Restituzione del motivo narrativo: La restituzione del motivo narrativo e' il procedimento verbale mediante il quale il locutore
restituisce nella conversazione l'elemento narrativo minimale, o uno degli elementi narrativi minimali, nel quale, dal suo punto di vista,
si dirigono e concentrano le azioni e i personaggi caratterizzanti il racconto dell'interlocutore ("Dizionario delle tecniche conversazionali",
Tecniche conversazionali, 10, 110-111, 1993).
- Interventi di accettazione: Con il termine "interventi di accettazione" si intendono quegli interventi volti ad accogliere e ad
accreditare quanto l'interlocutore propone ("Dizionario delle tecniche conversazionali", Tecniche, 5, 1991).
- Interesse conversazionale: Con questa voce si intende quell'atteggiamento dell'interlocutore che, esplicandosi in opportuni atti
conversazionali, supera il pregiudizio che ciascuno degli interlocutori potrebbe avere nei confronti dell'altro e che porterebbe a ritenere
lo scambio conversazionale impossibile, inutile o comunque da evitare ("Dizionario delle tecniche conversazionali", Tecniche conversazionali,
21, 1999).
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