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Intervista a Giuseppe Carzedda: Analisi Bioenergetica - Concetto di grounding - Lato corporeo del paziente
di Redazione


Dott. GIUSEPPE CARZEDDA
Direttore dell'IIFAB (Istituto Italiano di Formazione in Analisi Bioenergetica).
Trainer e Supervisore per l'Italia in Analisi Bioenergetica dell'I.I.B.A.- International Institute for Bioenergetic Analysis.

Intervista a Giuseppe Carzedda

1) Dott. Carzedda, ci potrebbe raccontare le motivazioni che l'hanno avvicinato all'Analisi Bioenergetica, rispetto ad altri approcci più "tradizionalisti"?
Come spesso accade nella vita i fattori legati al caso hanno giocato un ruolo importante.
Venni infatti in contatto con l'Analisi Bioenergetica alla fine degli anni 70 quando ancora frequentavo l'università e mi occupavo di ricerca sperimentale nell'area della psicologia cognitiva:
a quei tempi ero combattuto tra il desiderio di seguitare a fare ricerca (che tra l'altro seguito ancora oggi a considerare la mia seconda, oramai trascurata, anima) e quello di investire nella direzione di una formazione clinica.

Partecipavo infatti a numerosi workshop e seminari basati sui diversi approcci psicoterapici proprio per cercare di capire meglio quelli che erano i miei reali interessi.
In questo mio peregrinare mi iscrissi, devo dire con molto scetticismo e per puro desiderio di conoscenza, ad un workshop teorico-esperenziale di Analisi Bioenergetica, approccio del quale non sapevo assolutamente nulla se non che era un metodo di derivazione psicoanalitica ideato da Alexander Lowen che prevedeva anche l'uso del corpo in psicoterapia.

Questa esperienza mi colpì inaspettatamente per uno specifico motivo:
per il fatto che sperimentai direttamente su di me come il lavoro corporeo, combinato con il lavoro analitico-verbale, consentisse un accesso efficace e diretto ai nuclei emotivi profondi permettendo, con una efficacia senza pari, il superamento delle barriere che venivano poste dalle mie resistenze.
In altre parole mi resi conto che se fino ad allora in tutte le esperienze che avevo fatto ero riuscito abbastanza agevolmente a sfuggire al confronto con alcune parti di me, nel momento in cui entrava in gioco anche il lavoro con il corpo tale fuga era pressoche' impossibile.
Per dirla con il linguaggio e le conoscenze di oggi, avevo capito che la conoscenza esplicita che derivava dalla comunicazione verbale e narrativa era ben poca cosa rispetto alla conoscenza implicita legata al corpo, alle sue posture, ai suoi movimenti e alle sue espressioni in genere.

Fu per questo che mi convinsi ad intraprendere un percorso di formazione basato su questo metodo parallelamente ad una analisi personale, percorso della cui validità sono oggi ancora più convinto anche sull'onda della scoperta, o riscoperta, del corpo da parte di tutti gli altri approcci.
In proposito voglio sottolineare come l'Analisi Bioenergetica possieda in questo campo un patrimonio unico nel suo genere accumulato nei circa 50 anni che intercorrono dalla sua nascita ad oggi, patrimonio fatto non solo di conoscenze teoriche ma anche di esperienze empiriche derivanti dal concreto lavoro con il corpo nella stanza della terapia.

Questo credo lo abbiano capito già molti colleghi in quanto sempre più frequentemente ai nostri corsi si iscrivono psicoterapeuti di altra formazione desiderosi di inserire parti di lavoro corporeo in setting originariamente concepiti come esclusivamente verbali.
Personalmente ritengo infatti che il futuro della psicoterapia, al di là dell'annosa e il più delle volte inutile diatriba tra epistemologie che vogliono affermare la propria primogenitura, sia quello che attiene alla relazione terapeutica e alla dimensione corporea come fattore fondamentale della relazione stessa.
2) Il concetto di "grounding", sembra assumere molta importanza nell'Analisi Bioenergetica, può spiegarci brevemente di cosa si tratta?
In effetti è un concetto molto importante che Alexander Lowen ha sviluppato anche partendo dall'osservazione di come la condizione psicologica di un individuo sia strettamente correlata alla condizione di appoggio fisico del suo corpo per terra e alla percezione che egli ne ha.
In una accezione per così dire più specifica esso si riferisce al radicamento a terra della persona, al suo sentirsi stabile e in un solido equilibrio mentre si trova nella postura eretta, a quello che possiamo anche definire l'atto di verticalità e il rapporto del corpo con gli equilibri e le tensioni gravitazionali:
in proposito voglio ricordare come Lowen sia stato il primo analista ad utilizzare, come alternativa alla posizione distesa, di significato implicitamente più regressivo, e a quella seduta, anche la postura eretta in terapia.
Nel nostro metodo infatti la scelta di come far lavorare il paziente (disteso, seduto o in piedi) ha precisi significati in relazione agli obiettivi che ci prefiggiamo di raggiungere in una specifica fase dell'analisi.

Comunque, ritornando al concetto di grounding, esso possiede anche un significato e un valore più generale che si può dire hanno molto a che fare con quello di "base sicura" sviluppato nella teoria dell'attaccamento:
in questo senso esso è strettamente connesso con quello di sostegno, o meglio di autosostegno, in quanto uno degli scopi primari della psicoterapia analitico-bioenergetica è proprio quello di aiutare il paziente a costruire una "base sicura interna" , un radicamento interno, attraverso un processo di integrazione tra le diverse parti del Sè.

Per perseguire tale obiettivo vengono utilizzati una serie di lavori che coinvolgono direttamente il corpo tra cui, particolarmente importanti, quelli finalizzati a far sperimentare alla persona come "sta sui suoi piedi" e "come respira".
Nell'esercizio più classico del grounding la persona viene infatti invitata a stare in piedi con le ginocchia leggermente flesse e a concentrare la sua attenzione sull'appoggio per terra e alle sensazioni che le giungono dai piedi e dalle gambe in particolare, prestando nel contempo attenzione alla sua respirazione.
È interessante osservare come spesso le reazioni che all'inizio accompagnano questa esperienza sono di sorpresa, di scetticismo, di derisione, di disconferma, di incredulità, di delusione.
Queste reazioni mettono in evidenza quanto sia grande a volte il distacco dal corpo nelle sue funzioni più elementari.

Quella che ad un primo impatto potrebbe sembrare un'esperienza banale diviene perciò gradualmente, attraverso un processo di autopercezione, un'esperienza fondamentale in grado di modificare la percezione del proprio schema corporeo e di far entrare la persona in contatto con numerose sensazioni:
di instabilità, di fragilità, di rigidità, di freddo, di dolore, ma anche di solidità, di sicurezza, di autosostegno come dicevo prima, di calore e di piacere, sensazioni che riportano alle antiche esperienze tonico-emotive, collegate tra loro attraverso la postura.
Il concetto quindi si sviluppa ed evolve da semplice esercizio per sentire il corpo a modalità per entrare in contatto con emozioni e sentimenti, a processo per abbandonarsi alla dimensione corporea e contattare ciò che è impresso nei tessuti più profondi della nostra unità psicocorporea aprendo così la strada al processo di cambiamento.

Da sottolineare infine come tale processo si possa realizzare solo attraverso la costruzione graduale di un rapporto di fiducia in se stessi e nel terapeuta:
se infatti questo è vero in qualunque terapia, a prescindere dallo specifico metodo di riferimento, è altrettanto vero che quando si lavora con il corpo, proprio per la delicatezza e la profondità delle aree che vengono contattate, questo aspetto riveste una importanza cruciale.
3) Il lato corporeo del paziente, è sempre da considerarsi parte integrante in una terapia, o vi sono disturbi che non necessitano dell'analisi della corporeità, ma solo della psiche?
Sì, il corpo è sempre parte integrante in una terapia e tuttavia sono necessarie delle precisazioni che aiutino a comprendere cosa questo significhi.
Nel nostro metodo che ha le sue radici nel principio reichiano, poi mutuato da Lowen, di identità funzionale tra psiche e soma il linguaggio corporeo è espressione dei contenuti psichici dell'individuo quanto il linguaggio verbale.

Sulla base della nostra esperienza clinica e sostenuti dalle ricerche dell'Infant Research possiamo affermare che nei primi anni di vita la corporeità gioca un ruolo fondamentale:
il bambino può cominciare ad utilizzare un registro rappresentazionale intorno ai due anni; prima che sia accessibile la rappresentazione il mondo viene incontrato attraverso modalità sensoriali ed emozionali e la memoria di questi scambi è una memoria corporea; la relazione è fatta di sguardi, posture, intonazioni della voce, contatto fisico.

Quando lavoriamo su problematiche arcaiche che hanno avuto origine nel passato pre-verbale sono soprattutto queste le modalità relazionali che fanno la terapia.
Tuttavia anche quando ci troviamo di fronte a tematiche meno arcaiche cerchiamo di connettere le parole al corpo (di radicare le parole nel corpo) in uno sforzo di integrazione di cognizioni, rappresentazioni, emozioni, sensazioni.
4) Quali sono i riferimenti teorici più recenti che ritenete importanti per descrivere lo stato attuale del vostro modello?
Lowen ha sviluppato, organizzato e ampliato tutta la complessa struttura dell'Analisi del Carattere in una tipologia accurata che analizza, approfondisce e segue nella loro evoluzione, il formarsi delle varie strutture caratteriali intese come modalità tipiche di interazione che riflettono la storia evolutiva di ciascun individuo ed esprimono le strategie e le soluzioni che vengono adottate per adattarsi e relazionarsi al proprio ambiente di vita.
Il carattere esprime quindi, a livello psichico e corporeo, i modi in cui la persona soddisfa i propri bisogni e le difese che erige nei confronti di essi.
Tutto ciò coinvolge chiaramente l'evoluzione dell'individuo inserito in un mondo relazionale che interviene dando un'impronta sull'organizzazione della personalità.

Considerare l'organizzazione caratteriale una modalità di funzionamento della persona, porta naturalmente a rileggere ed integrare i contributi psicanalitici classici alla luce dei nuovi modelli relazionali, della teoria dell'attaccamento e dei recenti contributi della ricerca sullo sviluppo infantile i quali hanno avvalorato quella che potremmo definire una "intuizione inconsapevole" di Reich che, focalizzandosi su "come" nel qui e ora la persona metteva in atto le proprie difese caratteriali, realizzava un confronto e un incontro tra due persone vive e reali, preannunciando l'importanza della relazione terapeutica e il fattore di cura insito in essa.
5) Cosa si sente di consigliare ad uno Psicologo che voglia specializzarsi in Analisi Bioenergetica?
La prima cosa che gli consiglierei, basandomi anche sulla mia personale esperienza che ho ricordato all'inizio, è di sperimentare su di se quanto direttamente ed efficacemente un lavoro analitico-corporeo possa toccare nuclei molto profondi:
questo aspetto se da un lato può infatti rappresentare un forte elemento motivazionale dall'altro può, proprio per lo stesso motivo, spaventare e risultare troppo impegnativo mettendo così continuamente in crisi una motivazione apparentemente ben radicata.

Lavorare anche con il corpo in psicoterapia è infatti un compito particolarmente delicato che implica un coinvolgimento potenzialmente molto forte non solo nel paziente ma anche nel terapeuta.
È perciò essenziale che chi decide di iniziare questo percorso sia ben consapevole che la formazione riguarda non solo l'acquisizione di una notevole quantità di conoscenze teoriche e competenze tecniche legate alla complessità del modello (il sapere e il saper fare) ma anche un notevole impegno nella direzione del saper essere all'interno della relazione.

È per questo che noi richiediamo ai nostri allievi una notevole disponibilità nel mettersi in discussione accettando di lavorare su se stessi e sulle proprie dimensioni più irrigidite e fragili, sui propri punti deboli e sulle proprie lacune.
Non è infatti pensabile lavorare con il metodo dell'Analisi Bioenergetica senza confrontarsi con le proprie emozioni e con quelle del paziente, ed essere quindi anche in grado di gestire le potenti dinamiche transferali e controtransferali che possono instaurarsi all'interno della relazione terapeutica.

C'è infine un altro consiglio che mi sentirei di dare a tutti coloro che vogliono intraprendere questa professione:
quello di interrogarsi approfonditamente sulle motivazioni che sono alla base della loro scelta.
Frequentemente, infatti, questa è sostenuta dal desiderio cosciente di volersi prendere cura degli altri mentre in realtà la vera motivazione, profonda e inconsapevole, è quella di voler curare se stessi o parti del proprio Sè ferite e incompiute.
In questo senso considero l'analisi personale un fondamentale momento formativo e di verifica, anche perché va presa in seria considerazione l'eventualità che una volta che ci si è presi cura di sè stessi decada, o comunque venga più o meno ridimensionata, una delle motivazioni principali che all'origine avevano determinato la scelta stessa.

Intervista realizzata dalla
Redazione del Centro HT